mercoledì 14 agosto 2013

SERGIO BISSOLI RICORDI DI RENZO FERRARI 1949 2010 INDICE INTRODUZIONE INCONTRO RENZO FERRARI MINERBE E I RICORDI LE RAGAZZE DI SAN VITO FIAT 500 L LE RAGAZZE DI SAN ZENONE IO RENZO E VERONELLA SAGRE E FIERE ESTATE AUTUNNO E INVERNO VILLE E CASTELLI PERSONAGGI STRANI LE RAGAZZE DI ANGIARI SAFARI FOTOGRAFICO AVVENTURE A LUCI ROSSE L’INIZIO E LA FINE DOPO IL 1990 INTRODUZIONE L’ispirazione per scrivere questo libro mi è venuta di notte, nell’Aprile 2013, tre anni dopo la morte di mio cugino. Ho sognato spesso mio cugino e il bisogno di scrivere le sue memorie mi è arrivato con una irruenza e una forza inaspettata. Così mi sono messo al lavoro. Per tutto un mese in piena notte mi svegliavo con il ricordo di qualche nostra avventura. I ricordi arrivavano quasi sempre di notte e dovevo scriverli subito, altrimenti li dimenticavo. Poi ho dovuto creare la sistemazione, lo scaffale per ospitare questi ricordi. Così ho creato alcuni capitoli dove ho riunito le avventure dello stesso genere. È impossibile risalire alle date esatte. Queste avventure sono state vissute fra il 1970 e il 2010. Ho fatto tutto il possibile. Questo libro, se non lo scrivevo io, non lo scriveva nessuno e il ricordo di Renzo Ferrari sarebbe scomparso per sempre nel fiume del tempo. Ecco il miracolo della Letteratura: registrare alcuni avvenimenti e trasmetterli alle generazioni future, lontano nel tempo e nello spazio. Con Renzo ho tanti bei ricordi poiché abbiamo trascorso tante avventure insieme. Proverò a raccontarne alcune. Mi dispiace che lui non sia più qui con me ad aiutarmi. Renzo aveva una memoria migliore della mia. LA FAMIGLIA Rino Ferrari (1920 1971) marito di Agnese Artioli (1920 2004) La famiglia si trasferì molte volte in case e fattorie nelle grandi Valli Veronesi e in varie località nacquero i figli. Prima Angiolina. Poi nel 1949 Renzo. Nel 1952 Giuseppina e infine i gemelli Adriano e Adriana. INCONTRO RENZO FERRARI La prima volta che vidi Renzo Ferrari è stata una mattina d’estate del 1971. Renzo venne nella bottega di mio padre portando una piccola radio da riparare (o da sostituire le pile). Arrivò con un motorino celeste Califfo. Mio papà mi disse: “Questo è nostro parente Renzo Ferrari, figlio del fratello di nonna Ferrari.” In quel periodo io avevo venduto il mio motorino Legnano Sachs, ma i soldi non bastavano per comprarmi un’automobile. Poichè avevo solo la bici, proposi a Renzo di trovarci alla domenica pomeriggio per andare a trovare alcune ragazze a Minerbe. MINERBE E I RICORDI Andammo a Minerbe tante volte. Il paese mi piaceva e inoltre speravo di incontrare Franca (la ragazza amata nel 1966) l’amica Annamaria (di San Vito) e le altre. Renzo in motorino e io in bici; mi attaccavo alla sua spalla e mi facevo trainare, evitando così di pedalare. Una domenica pomeriggio a Minerbe mentre parlavo con Anselmo (il campanaro) vicino alla chiesa, vedemmo arrivare una ragazza che con la bicicletta faceva giri intorno a noi. Poi si avvicinò e il campanaro ce la presentò: “Si chiama Angelica ed è una brava e buona ragazza.” Così la conoscemmo e restammo insieme anche nelle domeniche successive. Angelica però mi piaceva poco, inoltre io ero molto inesperto. Un pomeriggio eravamo seduti al bar davanti al cinema (ora chiuso) e Angelica mi disse: “Io so tutto di te.” Intendeva che sapeva come sono fatti i maschi, ma io non capii e chiesi : “Che cosa sai?” “Fammi tu le domande.” “In che via abito?” “In via degli asini.” Poi voleva che la accompagnassi a vedere un film d’amore, ma proiettavano un film su Dracula. Lei insistette ugualmente per entrare e io le spiegai che era un film dell’orrore. Non capii che intendeva amoreggiare dentro al cinema. Alla sera tornammo e a Legnago incontrai l’amico Antonio fresco e riposato appena arrivato con la sua Fiat 500 nel viale dei tigli. Noi invece eravamo stanchi, sudati e impolverati e gli chiesi di caricare la mia bici in macchina e portarmi a casa, ma lui non accettò. Angelica era una ragazza molto convenzionale. Una volta criticò le minigonne di Nadia e sorella, mentre ci passavano davanti: “Troppo corte quelle gonne!” Renzo intervenne: “No, vanno bene.” Seduti sulla panchina bianca (adesso non c’è più) a Minerbe, un caldo pomeriggio d’estate conversavamo io, Angelica e Renzo. A un certo punto Angelica disse: “Non vale! Voi siete due contro una!” Eh, sì, proprio così: allora capii che l’amore (il rapporto fra i sessi) è inteso come una lotta, come una guerra dove la più forte è la femmina. Angelica pretendeva che io andassi a casa sua tutte le sere di martedì e venerdì (come si usava fra fidanzati). Alla terza domenica di Luglio siamo andati tutti e tre alla sagra di Boschi S. Anna. In quel paese trovammo Luigi che ci propose di andare a vedere una filmina sexy a casa di suo cugino Giovanni. Così abbandonammo Angelica da sola e andammo in bici da Giovanni. La filmina era bella. Ma il lunedì seguente mi pentii. A casa da zia Irma telefonai al consorzio di mele dove lavorava Angelica e mi scusai. Tornammo da Angelica ancora un altro paio di volte, poi la abbandonai. In estate all’uscita da Minerbe mentre Renzo in motorino trainava la mia bici, passò l’amico Renato, in automobile con la fidanzata Sandra. Mi salutarono ed io provai un po’ di invidia. Nel Giugno 1973 eravamo seduti sotto il pergolato al bar (ora non esiste più) del viale della stazione a Minerbe. Io, Renzo, Nadia, sua sorella e un’altra. C’era un profumo di tigli che faceva svenire. Il juke box suonava Con le mie Lacrime dei Rolling Stones. Sul tardi, quando le ragazze andarono via io provai una profonda tristezza. Andai da solo in bici a Ca del lago e scrissi la poesia SERE DI GIUGNO, mentre guardavo il sole al tramonto. Poi nei giorni seguenti a casa incominciai a scrivere SORTILEGIO, la storia d’amore con Loretta (Franca). Pubblicai Sortilegio a mie spese, usando uno pseudonimo da un editore di Firenze nel 1975. Ma era pieno di eccessi e ingenuità; così lo riscrissi più volte in futuro, rispettando il tema e dandogli una forma migliore ed equilibrata. Prima domenica di Settembre io, Renzo e Giovanni siamo andati alla sagra di Roverchiara, dove ho avuto un discreto successo leggendo la mano alle ragazze. Un pomeriggio io, Renzo, Giovanni (che aveva una vecchia zia in viale Ungheria) e Luigi, eravamo nel bellissimo bar (ora non esiste più) del viale dei tigli (viale Ungheria) a Minerbe. Decidemmo di ordinare 4 birre. Gli amici le volevano fresche, ma io li convinsi che, poiché eravamo molto sudati, sarebbero state meglio calde, cioè fuori dal frigo. Arrivò il cameriere e Luigi ancora suggestionato dai miei argomenti disse “4 birre calde!”. Seguirono gran risate. Un pomeriggio nuvoloso siamo partiti a caccia di ragazze. Ma Renzo aveva una bici difettosa e poco affidabile. Per convincerlo a partire portai con me una borsa di attrezzi. Tutte le volte che la bici dava segni di rompersi, Renzo mi guardava preoccupato e allora io scuotevo la borsa dei ferri dicendo: “Abbiamo qui l’officina.” Un giorno dovevamo partire col suo motorino ma la catena era troppo lunga. Nella sua bottega, usando una pinza come punzoniera e un chiodo come punzone abbiamo martellato il cilindretto di acciaio. Spesso il chiodo si piegava e bisognava raddrizzarlo. Alla fine il cilindretto uscì dalla sede. Abbiamo tolto due maglie della catena, reinserito il cilidretto e poi via, siamo partiti. Uomo fortunato mio cugino. Un pomeriggio a Minerbe inciampò in un gradino, prese una storta al piede ed ebbe difficoltà a camminare. Trovammo la farmacia aperta per turno, di domenica. Lui comprò la pomata Voltaren, il dolore si attutì e potè di nuovo camminare. Sul tronco di un tiglio a Minerbe abbiamo staccato un grosso fungo a mensola, che conservo per ricordo. Conservo anche dei gelsomini, staccati dal cespuglio nel viale della stazione, a destra dopo il bar. Ora non esiste nè il bar nè il cespuglio. LE RAGAZZE DI SAN VITO Negli anni 1971 72 73 mi interessava la chiromanzia e studiavo Cheiro, Desbarolles, Benham. Nelle domeniche 1972 era proibito l’uso delle automobili poiché c’era l’austerity. In quell’inverno avevo montato sulla bici 2 tubi di gomma al posto delle camere d’aria; così non foravo più, però le ruote erano diventate più pesanti. Le domeniche pomeriggio io e Renzo andavamo a Minerbe in bici passando per s. Vito. Un pomeriggio di Settembre al ritorno vidi tante belle ragazze e alcuni ragazzi che giocavano sul piazzale della vecchia chiesa e nel campo dietro alla sacrestia. La domenica successiva ci fermammo anche noi a s. Vito e facemmo amicizia. Così io e Renzo arrivammo a rompere la noia delle domeniche in quel paesino. Restavamo là fino al buio. Io leggevo la mano alle ragazze e questa attività mi dava un po’ di successo. Ricordo una ragazza calma e raffinata; Annamaria (di Orti) sempre malinconica; la frizzante Loretta; una grassottella ansiosa; Patrizia, seria con i capelli lunghi povera ma bellissima. Del gruppo di ragazzi ne ricordo qualcuno: un meccanico zoppo che desiderava sposarsi presto, un ragazzo grande e grosso che si divertiva a prendere in giro Renzo. Un giorno offese Renzo e lui gli diede un forte schiaffo. Per un attimo temetti il peggio e mi misi fra loro per separarli ma tutto finì lì. Un pomeriggio mentre giocavamo, la palla saltò al di là di un basso muro. Nessuno voleva andarla a prendere e così andai io. Scalai il muro e discesi facilmente dall’altra parte camminando su un gran mucchio di legna. La nostra palla era in fondo al cortile deserto. Mi chinai per raccoglierla e sentii un ringhio basso e feroce alle mie spalle. Mi girai e rabbrividii vedendo il grosso cane. Ora capivo perché nessuno voleva scavalcare il muro. Pianissimo, senza voltare la schiena, indietreggiai mentre il cane avanzava. Salii a ritroso la catasta di legna, usando la palla come scudo per il cane e raggiunsi così la sommità del muro. Trascorremmo pomeriggi autunnali incantevoli. Una domenica di fine Settembre abbiamo incontrato Annamaria seduta sui gradini della vecchia casa a Orti. Siamo rimasti a chiacchierare durante tutto quel grigio pomeriggio, mentre il vento sollevava le stoppie nel campo di fronte a noi. Passò in macchina l’amico Giorgio R* con la fidanzata e ci salutò. Quando arrivai a casa scrissi la poesia BREVE INCONTRO. Settembre 1974 Un tardo pomeriggio di fine Settembre di ritorno da Minerbe, Renzo in motorino tirava me in bici. Arrivati a Bonavigo abbiamo seguito la strada a sinistra dell’Adige, per vedere dove portava. Ci siamo perduti e abbiamo chiesto a un vecchio. La strada era cieca e dovevamo tornare indietro. Rimanemmo a parlare, finché il vecchio ci disse: “Affrettatevi perché scende la sera.” Il sole era scomparso dietro l’argine del fiume e la sera scendeva immensa e paurosa sulla campagna. A tutta corsa siamo tornati indietro costeggiando i pioppeti fruscianti. In inverno, quando era troppo freddo, ci radunavamo a giocare in uno stanzone della canonica. Si entrava da una porticina di fianco alla chiesa e dopo un lungo corridoio si arrivava dentro uno stanzone che aveva il pavimento metà di mattonelle e metà di mattoni. Un pomeriggio di fine Dicembre siamo rimasti là fino a sera e quando siamo usciti abbiamo trovato… buio e un nebbione fitto da fare paura. Non si vedeva più nemmeno la lampadina sulla piazzetta. C’era una vecchia lì vicino che ci disse: “Tornate a casa, tornate a casa altrimenti le vostre mamme staranno in pensiero”. Così siamo saliti sulle bici e lentamente abbiamo pedalato fino a casa. Inverno 1972 o 73 mentre ritornavamo da Minerbe in bici. Pomeriggio nebbioso e gelido. Appena fuori dal paese c’era un pollaio e un gallo stava montando una gallina. Un vecchietto stava lì nell’orto e commentò mentre passavamo: “Eh, quello non ha freddo.” Nelle domeniche pomeriggio di Gennaio, gelide e ghiacciate, a volte arrivavamo a s. Vito ma non c’era nessuno. Allora proseguivamo sempre in bici, fino all’incrocio sulla strada per Minerbe. Proseguivamo dritti su una strada non asfaltata e poi lungo sentierini campestri che ora non saprei ritrovare. Sbucavamo a Boschi s. Anna di fronte a una osteria. Si entrava scendendo uno scalino. All’interno c’erano due stanze piene di gente e il juke box che suonava. Restavamo là a scaldarci e poi tornavamo indietro sempre per la stessa strada. Qualche domenica andavamo a scaldarci nel bar di Orti, dove in fondo c’era il bocciodromo. Nei freddi pomeriggi invernali a volte andavamo a casa dell’amico Antonio di Vangadizza. Antonio era intagliatore, aveva la barba, viveva con suo padre ed era molto ospitale. Stavamo nella cucina a riscaldarci. Chiacchieravamo e intanto io ammiravo sua sorella Adelina. Altre volte andavamo al Salus a Legnago dove io mangiavo un toast. Conoscemmo alcune ragazze, e una la accompagnammo al ritorno in bici fino a san Pietro. Era piccolina e giovanissima, almeno così sembrava. Invece lei ci disse: “Sapete quanti anni ho io? 36.” FIAT 500 L Nell’Agosto 1973 andai a Verona con mio padre che mi comprò una auto Fiat 500L usata, bianca. Io non me la sentivo di guidarla e così la guidò mio padre mentre io lo seguivo con la sua Fiat 600. Arrivati a casa la 500 puzzava da pesce poiché si era guastato il polmone di apertura automatica dello sfiato aria. Così eliminai l’automatismo e misi anche uno spruzzatore ridotto per risparmiare benzina. Di sera facevo insieme a mio padre alcuni giretti a Roverchiara per impratichirmi. Ma i primi momenti mi sentivo molto insicuro. Nella primavera 1974 tornammo a San vito. Fra tutte le ragazze, avevo scelto Patrizia: bella, capelli lunghissimi, molto povera. Ho incominciato a corteggiarla, ma lei era scontrosa, inoltre mi disse che suo padre era molto severo e non voleva. Una domenica io e Renzo arrivammo in bici e andai subito da Patrizia. Suo padre era lì vicino e mi proibì di parlare con sua figlia. Ricordo che mi disse: “Ci sono tante ragazze qui, vai da qualche altra.” Che discorso stupido! Una domenica di Maggio io e Renzo arrivammo in macchina. Nel cortile c’era troppo sole e tutti erano nello stanzone della sacrestia. Posteggiai l’auto ed entrammo dentro. Patrizia era in un angolo da sola e io andai subito da lei. Allora vidi suo padre arrabbiato che correva minaccioso verso di me. Io e Renzo fuggimmo dallo stanzone e attraversammo il cortile di corsa. L’uomo ci inseguì, ma quando vide che salivo in macchina si arrestò. Il suo viso cambiò espressione: non più collera, ma sbalordimento e dispiacere per avermi trattato male. Noi partimmo e lui rimase immobile a guardarci con una espressione dispiaciuta. La spiegazione è questa: Patrizia era di famiglia poverissima, suo padre veniva in bici perchè non aveva l’automobile. Lui mi vedeva arrivare in bici e supponeva che anche io fossi povero. Quando vide che avevo la macchina capì che potevo essere un buon fidanzato per sua figlia e si pentì di avermi scacciato. Noi andammo via e non tornammo più a s. Vito. Ritornammo molti anni dopo, ma tutto era cambiato. La compagnia si era sciolta, le ragazze non le rividi mai più. In seguito la chiesa fu acquistata dall’Archeoclub di Legnago. Eressero una chiesa nuova e il paese si spostò più a sud. Su segnalazione di una persona, in una pomeriggio soleggiato, di Marzo, siamo andati a casa di una ragazza che cercava il fidanzato. Abbiamo percorso una strada sassosa fino a una casetta rustica e povera, in campagna. La ragazza viveva con i genitori; la madre ci accolse e fece le lodi della figlia, brava da cucinare, lavare, stirare. La ragazza era grassottella, ricciolina e parlò pochissimo. Quando siamo andati via abbiamo promesso di ritornare, ma ci piaceva poco e non tornammo più. In seguito la ho rivista la bar della stazione dove aveva trovato lavoro come barista. Per arrivare prima a Bonavigo passando per Morubio, a volte percorrevamo la superstrada, allora in costruzione, zigzagando fra i mucchi di terra. Ma un pomeriggio ci fermarono i vigili che ci ammonirono di non passare più. era il 1974 se ricordo bene. LE RAGAZZE DI SAN ZENONE Anno forse 1974. Una notte di primavera profumata di tigli vedemmo ragazzi e ragazze che si baciavano dietro la vecchia pesa a San Zenone di Minerbe. Alla terza domenica di Maggio, giorno di sagra a San Zenone, conobbi Patrizia, una bella ragazza senza fidanzato. Patrizia ci invitò a casa sua e andammo a conoscere sua mamma desiderosa di maritare la figlia. La sorella di Patrizia era già sposata a un dentista. In quel piccolo paese abbiamo conosciuto molte ragazze: Sabrina, Cristina e altre che andavamo a trovare tutte le domeniche, a volte in bici, a volte in automobile. Renzo regalò una sua scultura ( un cervo) a una biondina di nome Cristina. Un pomeriggio appena arrivati, le ragazze circondarono la mia macchina e incominciarono a chiacchierare. A un certo punto Sabrina mise il bel seno sporgente dentro al finestrino per provocarmi, ma io ero timido e non ebbi il coraggio di toccarlo. Una domenica d’estate io e Renzo siamo andati in bici a s. Zenone. C’era un palazzo immenso. Siamo entrati nel cortile dove c’erano alcuni ragazzini e ho chiesto di vedere il palazzo. Loro ci hanno portato nei granai, dentro stanzoni immensi e dimenticati. Senonchè, quando è arrivato il momento di scendere le scale abbiamo visto i genitori che ci aspettavano là sotto e avevano una faccia arrabbiata. Mi è venuto il batticuore, però subito dopo ho avuto un’idea. Sorridendo dissi a loro: “Una bella visita al museo!” Sorrisero anche loro e così evitammo di venire sgridati. A fine Ottobre trascorremmo con le solite ragazze un pomeriggio bellissimo. Era una giornata dorata di luce gialla con le foglie dei tigli tutte gialle. Dopo le ore 5 il sole scomparve improvvisamente e le ragazze andarono tutte a casa. Anche noi prendemmo le bici e partimmo di corsa. Ma appena fuori paese Renzo forò la ruota della bici (marca Graziella). Ritornammo in paese in cerca di soccorso. Passò un gruppo di ragazzini di corsa sulle loro bici. Chiesi se c’era un meccanico lì vicino. No, non c’era e bisognava andare a Legnago. Ma un ragazzino del gruppo ci informò che suo nonno sapeva riparare le bici. “Per favore, portaci da tuo nonno.” Gridai. Seguimmo il ragazzino in una strada completamente buia e poi lungo un sentiero fino a una fattoria. Là, sotto un portico un vecchio tirò fuori una cassetta di attrezzi e riparò la camera d’aria. Non voleva compenso, ma Renzo gli diede 500 Lire d’argento. Nei grigi pomeriggi invernali, vicino alla pesa, una vecchina col carretto vendeva caldarroste, patate dolci, arachidi, lupini, semi di zucca ai bambini che uscivano da chiesa. In Dicembre io e Renzo ci siamo seduti sulla solita panchina bianca per aspettare le ragazze; faceva molto freddo e incominciò a nevicare così siamo andati via. A San Zenone conoscemmo anche Flavio e diventammo amici. Poichè lui non aveva la macchina, un pomeriggio d’estate lo portammo dalla sua amica Cristina a Minerbe. Arrivammo a una bella villetta nuova e al piano superiore ci accolse la mamma: “Cristina, guarda quanti bei giovanotti sono venuti a trovarti.”. Siamo rimasti insieme in cucina, ma la ragazza non era molto socievole. Anni dopo dal giornale ho appreso che Cristina era stata travolta da un camion mentre andava a messa. Una domenica pomeriggio di fine Ottobre, io Renzo e Flavio siamo andati a trovare una sua amica a San Zenone. Ragazza madre di due figli, andava al mercato col banco delle scarpe. Ci lasciammo il paese alle spalle oltrepassammo una grossa fattoria abbandonata e percorremmo una lunga stradina in campagna che costeggiava un fossato. Pomeriggio freddo, nuvoloso, con sole fioco e foschia. Nei campi si sentivano gli spari dei cacciatori. Dopo un ponte siamo arrivati a un gruppo di case. Flavio e Renzo sono entrati in una di queste mentre io li ho aspettati più avanti, in strada. Avevo paura di entrare e preferii restare fuori. Dopo un’ora gli amici sono usciti e siamo ritornati in paese. Mi dissero che erano stati accolti bene e la prossima volta sarei entrato anch’io per conoscere la ragazza. Arrivò l’inverno e quando finì, Flavio non si trovava più sulle panchine a San Zenone. Io e Renzo percorremmo la stradina, ma davanti alla casa della ragazza ora c’era un’automobile e proseguimmo senza fermarci. Negli anni seguenti Flavio non usciva più di casa perchè ci dissero che era ammalato. Successivamente morì e noi siamo andati in cimitero a fotografare la sua tomba. Incontrammo per l’ultima volta Patrizia di San Zenone (non Patrizia di San Vito) sulla lunga strada (San Sebastiano) che va da San Zenone a Pressana. La ragazza camminava a piedi in compagnia di un’amica e noi scendemmo dalla macchina per salutarla. Era un freddo pomeriggio d’inverno e la campagna si stendeva squallida e ghiacciata intorno a noi. Offrii al Patrizia il mio libro appena uscito, Cerimonia Funebre, (la vecchia versione del Paese Stregato). Ma la ragazza non lo accettò; mi disse che amava leggere storie di regine. A San Zenone c’era un vecchio palazzo. Tutte le volte che passavamo davanti vedevamo due vecchietti che lavoravano nel giardino. Successivamente, dopo anni, vedevamo un solo vecchietto nel giardino. Dopo altri anni, non c’era più nessuno nel giardino; il palazzo era chiuso e abbandonato. IO RENZO E VERONELLA Qui si apre una pagina importante perchè Pia è stato il secondo (e ultimo) grande amore della mia vita. Un pomeriggio di Novembre a Minerbe vidi l’indicazione Veronella. Decisi di vedere quel paese mai visto prima. Attraversammo Anson, Miega, Michellorie, Presina. Qui sbagliai strada e arrivai a Santa Lucia dove visitammo la chiesetta (allora aperta). Tornammo al bivio e finalmente arrivammo a Veronella. Il paese mi affascinò. Lo avevo sognato mesi prima di vederlo per la prima volta. C’erano le mura merlate, il castello, gli stemmi araldici. Una bella ragazza stava affacciata alla finestra del palazzo Sarego e guardava il tramonto. Arrivati a casa scrissi la poesia INVERNO. Quando ho conosciuto Pia a Veronella nel Dicembre 1974, era un pomeriggio freddo e nebbioso. Renzo aveva un grosso raffreddore. Restammo insieme tutto il pomeriggio, io, Renzo, Pia e sua sorella Evi. Alla sera Pia, che non credeva avessimo la macchia, mi pregò di andarla a prendere. Mi chiese: “Chi guida?” “Oreste.” Risposi. (lo chiamavo sempre così; lui mi chiamava Johnny o Gianni). “Con quel raffreddore!!!” Io e Renzo andammo a piedi alla macchina che era posteggiata lontano. Poi ritornammo sulla piazza dove c’erano le ragazze in attesa di vederci passare. Io ero già perdutamente innamorato di Pia. Renzo mi contagiò e per tutta la settimana ebbi il raffreddore pure io. La domenica successiva avevo ancora la tosse, ma partimmo ugualmente, raggiungemmo Bonaldo anche se io non uscii mai dalla macchina. Era un pomeriggio freddo col sole. Ritornammo a Veronella tutte le domeniche pomeriggio. Renzo al distributore pagava 1000 lire per 4 litri di benzina, poichè io non avevo soldi. Gli sono profondamente debitore, senza di lui non avrei vissuto questa meravigliosa storia d’amore. Trascorremmo l’inverno insieme, arrivò Marzo ed ero sempre innamorato di Pia. Renzo intento corteggiava Daniela, una sua amica. Alla terza domenica di Marzo, giorno piovoso, dopo essere stato alla sagra di Minerbe, verso sera andai a Veronella e sulla piazza mi venne l’ispirazione per la poesia PASSEGGIANDO. Una domenica Pia mi chiese in regalo i pattini a rotelle. Io ne avevo un paio, marca Atala, regalo di zia Irma e promisi di portarglieli. Arrivato a casa mia, li lucidai bene affinchè sembrassero nuovi; ma le ruote erano consumate e si vedeva. Al giovedì a Verona con mio papà, cercai le rotelle nuove. Mi diedero l’indirizzo del laboratorio Atala e dopo aver camminato kilometri per la città, arrivai... alle carceri. Il laboratorio era gestito da detenuti, così rinunciai. Quella notte, mentre i genitori erano a letto, smontai i pattini, ingrassai le sfere e con la carta vetrata sottile lucidai le rotelle di fibra affinchè sembrassero nuove. Alla domenica li portai a Pia che però non volle prenderli ed entrò in casa; così consegnai il pacco alla sorella. I pomeriggi delle domeniche successive, sono tutti indimenticabili; profumo di calicanto, passeggiate in campagna per raccogliere le margherite, una gioia senza confini. Un giorno Pia mi disse che la domenica successiva non sarebbe stata in paese. Non le chiesi dove andava. Ma quella settimana sognai sua mamma che mi disse che Pia era all’ospedale. La domenica successiva cercai suo fratello e da lui seppi che Pia era andata veramente all’ospedale di San Bonifacio. Io e Renzo partimmo subito. Pioveva molto, le strade non le conoscevo ed ebbi molte difficoltà per arrivare in paese e poi raggiungere l’ospedale. All’ingresso un portiere dapprima mi disse che la ragazza era già andata a casa; poi non voleva lasciarci passare perchè l’orario delle visite stava per scadere. Finalmente salimmo le scale di corsa e raggiungemmo la stanza numero 28, dove si trovava la ragazza. Pia indossava un baby doll nero a fiori rossi; mi disse che era stata operata per una malformazione al piede che non le permetteva di indossare le scarpe. Le regalai una radiolina a transistor che avevo comprato a 4.000 lire. Sulla strada del ritorno ero molto soddisfatto e Renzo si congratulò con me. Mi disse che sarei sicuramente riuscito ad arrivare in America. Per tante volte, infatti, avevo promesso a Renzo che lo avrei accompagnato in America, a Hollywood, per vedere le attrici. Questo era il suo sogno ed io gli facevo questa promessa in cambio dei soldi che mi dava per la benzina. Un altro sogno profetico lo ebbi in Marzo 1975 all’alba. Sognai che la mia auto Fiat500 risaliva da un abisso tirata da una catena mentre io stavo lì accanto e ridevo. Al risveglio ero tutto sudato e agitato; mi sforzavo di trovare un significato senza riuscirci. In Aprile io e Renzo ritornavamo da Veronella passando per Ca del lago. Visto uno spiazzo a destra decisi di fermarmi per orinare. Accostai la macchina ed entrai nello spiazzo. Subito sentii un forte colpo. (Era la ruota anteriore destra che era sprofondata) ma non lo capii e avanzai ancora. La macchina sprofondò completamente. Quello che avevo scambiato per uno spiazzo era una scarpata con l’erba alta a livello della strada. Uscimmo dalla macchina e ci arrampicammo su per la riva. Dall’altro lato della strada c’era la fattoria Merlin (adesso c’è un centro sociale). Chiedemmo aiuto e arrivò un uomo col trattore che agganciò una catena alla macchina e la tirò su. Io ero lì, preoccupatissimo per i danni che avevo subìto. Quando l’auto arrivò a livello della strada constatai con stupore che la carrozzeria non si era fatta niente, neppure un graffio. Allora per la tensione nervosa scoppiai a ridere. E immediatamente ricordai nitidissima la scena del sogno. Era identica: l’auto che risaliva tirata dalla catena ed io lì vicino mentre ridevo. Renzo diede 1000 lire all’uomo del trattore e ripartimmo. Una meravigliosa sera di maggio, con i glicini. Dopo il pomeriggio trascorso insieme a Pia, io e Renzo salimmo in macchina per partire. La macchina era posteggiata davanti al castello del Conte e dallo specchietto retrovisore vedevo Pia e sua sorella che giocavano davanti alla loro casa. Renzo mi incitava a partire perchè era tardi, ma io non mi decidevo a mettere in moto la macchina. Restavo a guardarle da lontano, nell’incanto, nel silenzio della via deserta, di sera. Una poesia mi si formava nella mente e quando arrivai a casa scrissi UN ALTRO POCO. In Giugno comprai un motorino Califfo come quello di mio cugino. Una sera partii per Veronella e passando da Ca del Lago mi venne l’ispirazione per la poesia: DA SOLO. In Luglio al giovedì prima della sagra tornai a Veronella di sera. Nella notte, davanti al castello del Conte, il vento gonfiava le tende bianche alle finestre. In Settembre, in una notte di luna in via Arzarin mi ricordai questo particolare e scrissi la poesia SENTIMENTI. La mia storia d’amore con Pia proseguiva a Veronella. Ma in quel piccolo paese ormai lo sapevano tutti. Le vecchie ci spiavano dalle finestre. I ragazzi quando mi incontravano gridavano: “Non te la dà, Pia.” Una sera un tizio mi minacciò intimandomi di non corteggiarla. Finchè in Luglio 1975 si intromise perfino il padre della ragazza e così dovetti abbandonarla. Regalai a Pia anche una bicicletta comprata a Morubio per 35mila lire. Quando suo padre la vide, si arrabbiò molto, e dovetti mandare Renzo a riprenderla. Tentai di venderla a un meccanico di San Bonifacio, ma non accettò, forse credendola rubata. Così per liberarcene andammo sulle rive di un fiume e la buttammo dentro. Che peccato! L’amore per Pia mi ha ispirato le poesie (eccetto l’ultima) della raccolta VARIAZIONI D’AMORE. Renzo apprezzava molto queste poesie, soprattutto PASSEGGIANDO e SENTIMENTI che aveva imparato a memoria. Me le recitava spesso. E le recitò perfino al chirurgo che lo operò di ernia nel 2001. Da Marzo a Settembre scrissi un romanzo ispirato a lei e al paese. Lo pubblicai da Solfanelli ma era pieno di eccessi e ingenuità. Lo riscrissi nella versione attuale: LA RAGAZZA DEL PAESE STREGATO. Vedi anche AUTOBIOGRAFIA DI UNO SCRITTORE Lulu editore. Rividi Pia e ci siamo parlati per l’ultima volta, in Settembre. Per caso io e Renzo percorrevamo una strada vicino a Veronella. La ragazza stava insieme a un’amica ed era sempre bella e sorridente. Negli anni successivi si sposò e si trasferì in un altro paese. Dopo aver visto Veronella volli scoprire anche tutti i paesi limitrofi. E così esplorammo Bonaldo, San Gregorio, Zimella, San Stefano di Zimella. Nell’inverno 1974-75 io e Renzo arriviamo a Pressana. Era una sera fredda e buia e ci eravamo persi. Chiedemmo informazioni a un uomo che entrava in una porticina e lui ci disse: “Entrate.” E poi: “Tirate”. Lo aiutammo a tirare le funi delle campane. Lui era il campanaro; ci raccontò la storia del paese e poi ci indicò la strada per ritornare. Un freddo pomeriggio d’inverno 1974-75, io e Renzo arriviamo a Zimella. Visitammo il vecchio palazzo del Grest. Dentro c’erano grandi sale vuote, bei dipinti ma i piani superiori erano abbandonati e in sfacelo. Un uomo e poi una donna salirono le scale in fretta. Poi salirono un gruppo di bambine. Arrivati al terzo piano vidi le bambine davanti a una porta chiusa che spiavano dal buco della serratura. Chiesi cosa facevano là dentro. Una bambina fece cenno di fare silenzio poi disse piano: “L’a-mo-re.” Abbiamo esplorato anche il molino abbandonato sul fiume Guà. Ho rotto il filo di ferro che teneva chiusa la finestra e siamo entrati. C’erano 4 piani pieni di macchinari inchiodati dalla ruggine fra polvere e ragnatele. È stata una esperienza bellissima, un viaggio dentro il passato. In Agosto a Zimella abbiamo partecipato al funerale di un vecchio mescolandoci ai parenti in casa. Ho parcheggiato la macchina davanti al cimitero di Zimella, sullo spiazzo pieno di ortiche. Renzo mi ha detto: “Senti l’odore.” Infatti le ortiche maciullate mandavano un odore aspro e forte. Abbiamo visitato il cimitero, ammirato una bellissima villa e i dintorni molto suggestivi. A San Stefano di Zimella abbiamo visitato la colombaia e molte ville antiche, in quel tempo chiuse e abbandonate. Una aveva un bellissimo colonnato, attualmente restaurato. Un pomeriggio di sole, alla villa con i merli di Pressana siamo entrati dal portone, che allora era sempre aperto. Abbiamo visitato il cortile, ammirato il pozzo con la vera scolpita; infine, al ragazzino venuto ad aprirci la porta, chiedemmo il permesso di visitare la villa. Il ragazzino ci guidò attraverso i saloni, poi nei piani superiori e infine nel granaio. Nel frattempo i genitori preoccupati, uscirono in cortile e chiamavano il figlio. Noi ci affacciammo ai finestrini rassicurandoli. Alcuni mesi dopo lessi sul giornale locale che quel bambino era annegato nella vasca da bagno. Qualche anno dopo, in settembre a Veronella, abbiamo conosciuto una bella ragazza che raccoglieva le noci nel cortile della fattoria dove abitava. SAGRE E FIERE Alla seconda domenica di febbraio, con neve nei campi, noi eravamo a Santa Apollonia che festeggiava la sagra (ora non si fa più) dentro capannone riscaldato con stand cibi e musica. C’era un amico di S. Andrea e una ragazza con i capelli biondi lunghissimi che mi piaceva follemente. Altre belle sagre estinte: Orti alla prima domenica di Giugno; Pilastro, all’ultima di Settembre. Alla terza domenica di Febbraio alla bella sagra di Castelbaldo la facciata della chiesa era decorata con lampadine e c’erano giostre, banchetti di arance e una mostra di farfalle. Alla quarta domenica di Febbraio siamo andati alla sagra di san Mattia a Caldiero. In quel giorno freddo e grigio il paese era strapieno di gente e bellissime ragazze stavano attorno alle giostre. Su un banchetto un tizio faceva il gioco dei bussolotti; il compare puntava ingenuamente e perdeva. Un altro compare adescava un cliente e questo perdeva 50 mila lire. Un compare alto più di 2 metri faceva da palo: quando vedeva i vigili in lontananza, passava davanti al banchetto e il croupier ripiegava il banco e andava via. Io e Renzo siamo saliti anche sul monte e abbiamo visitato la Rocca, allora abbandonata. Un pomeriggio di Maggio siamo entrati nella discoteca di Legnago: Playtime (ora ha cambiato nome). Renzo ha pagato i biglietti. Dentro c’era buio e musica forte. Poche ragazze sedute ai lati e pochi ballerini sula pista. Girando per le sale ho trovato l’uscita in un cortiletto interno pieno di sole. Come si stava bene all’aperto. Abbiamo deciso di andare via e siamo partiti con la Fiat 500 verso i paesi soleggiati, nauseati da quella prigione e quella notte artificiale. Alcune volte siamo andati in bici alle piscine di Albaredo (ora chiuse) dove io sono scivolato, per fortuna senza farmi male. In macchina andavamo alle terme di Caldiero. Quando la piscina era affollata io sfioravo qualche seno o sederino delle nuotatrici che mi passavano vicino. Una volta facemmo salire due autostoppiste; erano belle, piccoline e formosette. Renzo era felicissimo e con troppa esuberanza incominciò a parlare; ma esse si spaventarono e ridiscesero. Renzo era molto dispiaciuto quella volta. In un pomeriggio caldissimo siamo andati a San Bonifacio in bici e motorino. Ma sulla strada del ritorno scoppiò il temporale. Ci rifugiammo dentro alla fornace di Albaredo (ora abbattuta) Un operaio ci fece visitare la fabbrica e ci mostrò i forni per la cottura dei mattoni. Alla sagra di Bonaldo, Renzo ruppe un sandalo. Non potendo camminare ci informammo dove c’era un venditore di scarpe. Ci indicarono un tizio a San Stefano di Zimella. Andammo là in macchina. L’uomo ci disse di andare al mercato a Lonigo al lunedì. Ma poi vedendo la situazione andò nel camioncino e ci portò un paio di ciabatte nuove. Renzo gli chiese il prezzo, voleva pagare, ma l’uomo disse di no e rientrò in casa. Andammo molte volte alla fiera di Lonigo, quarta domenica di Marzo, dopo la sagra di Minerbe. Nei primi anni il Luna Park era nel parco, poi venne spostato. Arrivammo da San Stefano di Zimella e parcheggiammo lungo l’argine del fiume Guà. A piedi fino in paese. Una lunghissima camminata fino al parco, nella strada piena di bancarelle e strapiena di gente. C’era freddo e Renzo si fermò per bere un amaro gratuito in una erboristeria. Attraversato il parco seguimmo un’altra lunga strada fino al Luna Park. C’era anche l’amico di San Andrea. C’erano giostre, belle ragazze e un vecchietto che faceva il gioco del pendolino. Un pendolo di legno era appeso sopra un banchetto. Bisognava lanciare il pendolo e abbattere un birillo da dietro. Il vecchietto ci riusciva sempre con facilità, gli scommettitori mai. Alla terza domenica di Settembre siamo andati alla festa della Patata (ora non si fa più) a San Andrea. In quel paesino antico c’erano i vecchietti che giocavano a bocce sotto i tigli, carri con patate, banchetti, museo dei carri armati e tantissime belle ragazze. Il sole era fioco, c’era il profumo della paglia e si sentiva nell’aria la presenza dell’autunno. Alla sera comprammo un sacco di patate e insieme lo trasportammo fino all’automobile. Alla sagra della mela di Begosso (ora non si fa più) ritrovai l’amico Claudio che mi regalò mele e pere. Involontariamente vidi alcune ragazze in mutandine mentre si cambiavano nascoste dietro il campanile. Alla sagra del vino Clinto, a Miega, prima domenica di Ottobre. Cielo nuvoloso, sole fioco, aria già fredda. C’erano le bancarelle con zucche cotte, castagne arrosto e vino. C’era la gara dei campanari; i vecchietti col tabarro. Tutto assomigliava alla poesia San Luca di Giacomo Zanella. Arrivò la sera grigia e piena di foschia; le persone si allontanavano dalla piazza per far ritorno a casa e scomparivano nella nebbia. L’ultima domenica di Agosto 1975 alla sagra di s. Stefano di Zimella incontrammo una bambina sola che piangeva. Disse di essersi smarrita e allora io feci chiamare i genitori all’altoparlante della giostra. Nel 1987 questo particolare mi ispirò l’inizio di un racconto. Negli anni ’70 alla bella sagra di Santa Monica a Bevilacqua, seconda domenica di Maggio, c’era un pallone aerostato nel campo sportivo. Il pallone è stato gonfiato immettendo aria calda e il pubblico salì nella navicella. Noi siamo rimasti a terra a guardare il pallone mentre si alzava in cielo. Era uno spettacolo bellissimo, purtroppo non avevo la macchina fotografica. Alla fiera del mandorlato a Cologna, nelle gelide giornate di Dicembre; lasciavamo la macchina lontano perchè era impossibile trovare parcheggi. Alla sagra di Casale, ultima domenica di Aprile. Giorno di forte vento. Abbiamo fatto una lunga camminata per arrivare a una grande villa in campagna. C’era una mostra di qualcosa, ma non ricordo più. Noi eravamo gli unici visitatori e la villa sembrava abbandonata. Durante gli anni 70 e 80 alla terza domenica di Ottobre, andavamo alle sagre di Urbana, Nichesola e Anson. Quelle domeniche erano sempre fredde, nebbiose o con il sole scialbo. Una volta siamo andati alla sagra di Urbana poi a ritorno a Nichesola. La sagra dell’anitra si svolgeva sull’argine del fiume Adige. Abbiamo visto le più belle majorette (ben poppute); l’elicottero che faceva acrobazie; le giostre; le bancarelle con zucche, patate, castagne. Ma quello che mi attraeva di più era una vecchia, affacciata a una finestra là in alto, che guardava la folla multicolore della piccola piazza. La sua casa era senza intonaco e c’era un lungo tubo da stufa che percorreva obliquamente il muro e finiva con un camino cilindrico sormontato da un cono. Il muro lungo il tubo era sporco di fuliggine e il camino emetteva un fumo denso e nero. Questo spettacolo l’ho ammirato sempre identico per molti anni. Poi, a una sagra, la vecchia non era più alla finestra, e il fumaiolo era spento. Alla sagra di San Tommaso a Orti Bonavigo, sull’argine dell’Adige, seconda domenica di Settembre. Abbiamo visitato il piccolo santuario con le pareti tappezzate di ex voto; le corse degli asini; le giostre; i paracadutisti (una volta uno si è rotto una gamba); e tante bellissime ragazze. A una festa dei fiori a Cologna, prima domenica di Maggio. Moltissime persone in un giorno con vento forte. Alla sera, al momento di andare via, la macchina non partì. Con molta fortuna abbiamo rintracciato un meccanico che arrivò lì e riparò il guasto al carburatore; spesa: 20 mila lire. Passando per Crosare di Roveredo in Giugno, abbiamo vista una festa dove cuocevano un grosso toro allo spiedo. Alla terza domenica di Giugno, alla sagra di Opeeano, abbiamo cercato inutilmente un rigattiere che ci era stato indicato. Nel campo sportivo abbiamo trovato una boccia in plastica trasparente per contenere i pesci e la abbiamo portata a casa. Alla bellissima sagra di Cagnano, strapiena di belle ragazze, ultima domenica di Giugno. Posteggiammo la macchina all’ombra degli alberi, vicino al cimitero. Giorno caldo di sole, finchè una nuvola passeggera ha spruzzato di pioggia il paese. Tutti sono corsi al riparo della giostra. Io e Renzo eravamo circondati da ragazze che spingevano per restare sotto il tendone. Sentivo seni e sederini femminili premere tutto intorno. Dopo molti anni siamo tornati ancora a Cagnano, ma la sagra era deserta e non c’era più nessuno. Alla sagra di Asigliano, ultima domenica di Agosto. Abbiamo filmato Sereno nel suo bazar museo, siamo entrati nel vecchio molino abbandonato e abbiamo incontrato anche Teresa, la ragazza che avevo conosciuto nel 1988 circa. Anche questa sagra, come tutte le altre, si è molto impoverita. Negli anni ’80 richiamava una grande folla, dopo il 2000 non c’era più nessuno. Alla terza domenica di Ottobre degli anni ’70 alla sagra di Anson avevamo visto l’annuale processione di ragazze biancovestite. Dopo 30 anni, nel 2006 decisi di ritornare per filmarla. La sagra era stata spostata alla seconda domenica di Ottobre. Con mia grande delusione la processione era formata interamente da vecchiette; ho filmato Renzo che cammina insieme a loro. Nel 1976 ero deciso a trovare un lavoro; feci molte domande in municipio, come bidello, portinaio, messo comunale, becchino, vigile... Poi dai sindacati. Durante quell’anno ho fatto pochi viaggi insieme a Renzo. Nel 1977 lavorai da un meccanico di bici a Legnago e avevo poco tempo libero. Una sera andammo alla sagra di Veronella e nell’osteria di fronte alla villa del Conte, mi venne l’ispirazione per scrivere la poesia BALLERINA NUDA. Nel 1978 imparai a riparare e costruire dentiere da Raul. Poche volte siamo andati in gita: a Soave per trovare un prete che conosceva sua sorella. Nel 1979 aprii un laboratorio a casa mia e il tempo libero era pochissimo. Renzo veniva da me e gli riparavo i denti col cemento Zanelka. ESTATE Un pomeriggio caldissimo siamo andati dietro il bosco della Marchesa. Seguendo un sentiero abbiamo sentito grida e risolini e ci siamo avvicinati. Ragazze seminude facevano il bagno nella Fociara e appena ci videro sono scappate dall’altra riva. Noi siamo proseguiti in bici fino a Morubio per bere qualcosa nel bar con il gioco delle bocce. Poi via, verso Minerbe. Mentre camminavamo nel viale dei tigli a Minerbe, il sole alle spalle proiettava le nostre ombre sulla strada davanti a noi. Renzo notò che io avevo i capelli tagliati troppo corti (mi obbligavano i genitori) cosi che si vedeva la forma del cranio. I capelli di Renzo invece gli coprivano tutta la testa, con un effetto estetico migliore. Un’altra volta, sempre a Minerbe, mi abbottonai involontariamente il giubbino a rovescio. Renzo me lo fece notare dicendomi: “Credevo fosse una nuova moda.” Passando per Orti andavamo a mangiare pomodori in un campo, ma una volta il padrone ci vide da lontano e noi scappammo via. In un altro pomeriggio abbiamo percorso un sentiero di campagna fra San Stefano di Minerbe e Bernardine, fino a una casa abbandonata. Sedute sull’erba, all’ombra, c’erano alcune ragazze che giocavano a carte. Siamo rimasti anche noi in loro compagnia, finchè sono andate via in bici. Noi allora abbiamo seguito il sentiero fino a un fiume. Una domenica mattina rubarono il motorino di Renzo a Cerea. Mentre camminavamo per cercarlo vedemmo il motorino alla custodia Busa. Era successo questo: una donna aveva rubato il motorino e lo aveva portato alla custodia lì vicino, lasciando detto che sarebbe venuto il figlio a prenderlo. Andammo dai carabinieri e dopo molti discorsi riuscimmo ad avere il motorino dal custode. Egli però pretese i soldi del posteggio. Alla seconda domenica di Luglio siamo andati alla sagra di Zevio (30 Km). Io sul motorino Califfo blu, di Renzo. Lui sulla mia bici Clodia celeste, trainata da me. Una gita massacrante, in un giorno nuvoloso. Io avevo il parabrezza, ma Renzo sulla bici si prese il mal di gola per il forte vento. Alla sagra un breve giro in paese e poi ritorno a sera. Alla sagra di Nogara, in Luglio, conoscemmo delle ragazze curiose che ci chiesero nomi, generalità, paesi di provenienza. Al ritorno, di notte, pedalando sotto i platani (la strada a quei tempi era deserta) decidemmo d’ora in avanti di dare nomi falsi alle ragazze. Renzo lo rinominai Oreste (anche se dapprima non gli piaceva); lui scelse di chiamarmi Johnny; paese di provenienza (falso) Legnago. Un pomeriggio afoso di Agosto siamo andati a casa di un libraio. Lui non c’era; ci aprì la moglie in vestaglia con le due figlie in bikini. Ci accompagnarono in uno stanzone caldissimo, in penombra, zeppo di libri vecchi. Io cercavo fra i mucchi di libri, ma la mia attenzione era rivolte alle donne lì vicino. A Roveredo, nel deposito parrocchiale del vetro rotto dietro la chiesa, si trovavano molti oggetti artistici ancora integri: lampadari, vasi; a volte ho preso qualche bottiglia originale. Passando dal viale dei tigli, a Minerbe, vedemmo un bellissimo specchio rotondo con cornice celeste, nel deposito dei vetri rotti. La nostra macchina era lontana e non lo prendemmo. Alla sera andammo a vedere e lo specchio era ancora là. Io e Renzo lo caricammo in macchine e arrivati a casa lo regalai al contadino Mario. Notte di Maggio, calda e profumata. Io e Renzo in bici, seguendo il tracciato della superstrada in costruzione, siamo arrivati a Morubio. Il paese era immerso nel silenzio e nella magia della notte estiva. Abbiamo percorso le vie deserte, con le case chiuse e oscure. Solo qualche finestra era fiocamente illuminata. Questo mi ha ispirato la poesia: ARABESCHI. Renzo aveva paura perchè era tardi, voleva tornare e non conosceva la strada. Poi sulla via del ritorno ha riconosciuto Villa Bottura e si è tranquillizzato. Un’altra sera siamo andati in bici a Roverchiara. Mentre entravamo in paese il campanile batteva undici rintocchi. Il paese era deserto, oscuro e silenzioso. Sulla piazza, al primo piano di una casa a sinistra della chiesa, si vedeva un’unica finestra illuminata. Una donna seminuda si muoveva all’interno di una stanza da letto. Questa visione è durata poco, ma mi ha lasciato un ricordo bello e indimenticabile. Una sera aspettai Renzo ma lui non arrivava perchè c’era la minaccia di un temporale. Andai io da lui, in bici, seguendo la strada non asfaltata lungo il fiume Menago. Arrivato a casa sua l’ho convinto a partire e in bici siamo andati a Legnago passando da Rosta e Vangadizza, sempre con la minaccia della pioggia. Al ritorno da via Malon, scoppiò il temporale e ci siamo riparati sotto il fienile di una vecchia fattoria abbandonata. Nel 1985 morì Libero Samale. Ho dato la notizia a Renzo, mentre percorrevamo Via Capersa. Renzo era molto dispiaciuto e ci siamo consolati guardando riviste sexy che tenevamo nascoste nella casa del pastore, semicrollata. Altre riviste erano nascoste nelle rive di un fosso in via Guanti. Renzo era un uomo fortunato. Una domenica mattina arrivai in Prato della Fiera (il luogo dei nostri appuntamenti) e Renzo mi mostrò gli occhiali da sole con una stanghetta staccata. “Hai perduto la vite” spiegai. Allora lui si chinò per cercare fra l’erba. Mi venne da ridere; era impossibile trovare una vite così piccola in mezzo all’erba. Intanto Renzo allungò il braccio e allora anche io vidi la vite luccicante fra l’erba. Miracolosamente era riuscito a trovarla!!! Un’altra volta in Prato della Fiera c’era una zingarella bellina che mi disse: “Mi regali cento lire?” In quel periodo io avevo pochissimi soldi e risposi no. Lei disse ancora: “Vuoi che ti legga la mano?” Allora diedi i soldi alla zingarella; lei li prese e andò via. Io protestai: “Non mi leggi la mano?” “Solamente per cento lire? E’ poco.” Ero avvilito per essere stato imbrogliato. Renzo che era con me mi diede i soldi che avevo perso. Renzo si preoccupava per la mia incolumità. Quando andavamo in luoghi pericolosi (vecchie ville abbandonate) ma anche quando io perdevo la testa per qualche ragazza, Renzo mi raccomandava: “Sta attento! Tu hai un lavoro da portare a termine.” Intendeva dire una missione. Un pomeriggio mio cugino mi portò dal suo parente Zago, che gli dava lavori di intaglio. Partimmo in motorino sulla strada per Bergantino, girammo a sinistra lungo un sentiero sassoso. Oltre la vecchia ferrovia arrivammo a un gruppo di edifici isolati. C’erano le stalle con soffitti ad archi e colonne. Dentro alla fattoria c’era un pantografo (una macchina per scolpire il legno) gestito da due vecchiette che avevano il compito di caricare la macchina con legni sagomati e ritirarli sbozzati a forma di gambe di tavoli, braccioli di poltrona, eccetera. I pezzi finiti venivano ammassati dentro alle ceste. Gran rumore, polvere e odore di legno. Mio cugino poi, nel suo laboratorio, rifiniva i pezzi. Un pomeriggio a Veronella scoppiò un brutto temporale. Noi corremmo in macchina posteggiata in piazza. Il vento fortissimo da ovest spingeva sulla fiancata facendo sollevare un poco l’automobile; Renzo aveva paura. AUTUNNO E INVERNO Nei pomeriggi d’inverno, freddi e nebbiosi andavamo al centro parrocchiale di Pressana. Vicino c’era una bella casa antica che è stata abbattuta e non ho fatto in tempo a fotografare. Nel seminterrato giocavamo a carte e facemmo amicizia con Lino S. C’erano molte belle ragazze in quel posto e ci piaceva stare in compagnia. Un pomeriggio abbiamo visto una bella rappresentazione teatrale al piano superiore. Altre volte, sempre nelle gelide e nebbiose domeniche invernali, per riscaldarci ci rifugiavamo dentro una vecchia osteria a Pressana. Era un ambiente molto caratteristico (ora è chiuso) situato sotto un porticato con basse e tozze colonne. Anche a San Gregorio c’era una bella casa antica (purtroppo non l’ho fotografata) abbattuta per far posto al centro parrocchiale. In inverno andavamo lassù per riscaldarci e stare in compagnia di tante belle ragazze. In Febbraio, durante un carnevale ne ho fotografate due in costume da giapponesine. A Roveredo siamo entrati in un centro parrocchiale gestito da suore, mi pare. Si stava al caldo e c’erano tante belle ragazze. Ma dopo un po’ arrivò un tizio e ci disse: La vostra presenza non è gradita qui.” Gli risposi: “Da chi?” Quello rimase muto, ma ugualmente noi uscimmo fuori. Siamo stati più fortunati a Baldaria. Il primo di Gennaio arrivammo in questo paese e vedemmo tanti giovani che entravano in un edificio di proprietà della parrocchia. Siamo entrati anche noi mescolandoci alla folla; c’era una grande festa, c’era da mangiare e noi siamo rimasti là fino a sera. Un pomeriggio invernale lo trascorremmo dentro la palestra parrocchiale di Cologna; seduti sulla gradinata guardavamo le esibizioni delle ragazze. Una domenica invernale con freddo e nebbia si è fermata la macchina a Minerbe, vicino alla casa di Anselmo, il campanaro. Sono sceso, ho guardato il motore ma non sapevo cosa fare. Poi ho notato un filo staccato dello spinterogeno. L’ho aggiustato e siamo ripartiti! Una domenica siamo andati in treno a Legnago, al cinema Italia a vedere il film L’Esorcista. All’uscita siamo andati a Porto e sul ponte dell’Adige abbiamo rivisto le ragazze di San Zenone. Anche loro erano andate al cinema ed erano tutte disgustate da quel pessimo film. Poichè c’era da spettare due ore all’arrivo del treno, siamo andati a casa a piedi, lungo la ferrovia. Nel 1977 siamo andati al cinema Italia a vedere: Quell’oscuro oggetto del desiderio. Era tratto da La Donna e il Burattino di Pierre Louys, ma il libro è decisamente migliore. Negli anno ’80 e ’90 c’era nelle parrocchie la raccolta del ferro vecchio. In quei posti si trovava di tutto: pentole, automobili, attrezzi agricoli... (A Cerea abbiamo trovato una macchina offset pesantissima. Mio papà vi ha staccato il motore.) Al deposito di Miega negli anni ’80 c’erano molte Fiat 500 in demolizione. Io e Renzo abbiamo staccato molti pezzi per la mia macchina: ruote, paraurti, fanali, spinterogeno, pompa, eccetera. Altri pezzi e oggetti antichi recuperati a Caselle di Pressana. Al ferro vecchio di Presina c’era una intera officina scartata con attrezzi per meccanici. Renzo portò a casa pinze e chiavi varie. Io tornai il lunedì successivo con mio papà per recuperare due stufe a metano. C’era il ghiaccio e papà scivolò a terra senza farsi male. Un freddo pomeriggio di sole eravamo in piazza a Veronella. Il sole illuminava il paese, ma notammo uno strano fenomeno. In fondo alla via non si vedevano più le case; via Marconi sembrava raccorciata e diventava sempre più corta... Dopo un poco, una nebbia fittissima ci avvolse, facendo sparire il sole e tutte le case intorno a noi. Raggiungemmo la macchina e lentissimamente facemmo ritorno a casa. Questo fenomeno lo abbiamo visto anche in altra occasione. A Ca del lago mentre percorrevamo la strada col sole, improvvisamente ci siamo immersi nell’oscurità e nella nebbia. Nelle squallide domeniche d’inverno, andavamo nel Bazar di Lino M. a Cologna. Prima andavamo a chiamarlo al bar Sport dove lui giocava a carte. La prospettiva di un guadagno spingeva Lino ad abbandonare il gioco e venir ad aprire il negozio. Inoltre Renzo prometteva di portargli in futuro vecchie pentole in rame. La stanza era ingombra di mercanzia: bici, radio antiche, quadri, motori, pentole, dolciumi, verdura, monete, bolli da collezione, vasi, soprammobili, eccetera. C’era anche un retrobottega con casse di libri e giornali. Renzo comprava dolciumi, io monete vecchie, libri e un rasoio Sunbeam per la mia collezione. Una volta passando dalle immondizie di Minerbe abbiamo trovato un bar intero, con bancone, scaffale e tutte le bottiglie di liquori mezze consumate. Abbiamo raccolto alcuni oggetti e siamo andati a rivenderli a Lino. Il bazar chiuse con la morte del proprietario. Siamo andati a trovare la sorella e a fotografare la tomba nel 2001. Al deposito di immondizie di Porto incontravamo spesso un signore che prendeva oggetti e mobili di ogni tipo. Abbiamo fatto amicizia, si chiamava Diego e ci invitò nella sua fattoria. C’era un magazzino zeppo di oggetti e qui alla domenica arrivavano i collezionisti per cercare oggetti per le loro collezioni: libri, dischi, orologi eccetera. Ho fotografato il cortile con le oche e la moglie di Diego. In inverno e d’estate andavamo a casa dell’amico bibliofilo Antonio, di San Stefano di Zimella. Antonio è uno storico appassionato di letteratura e storia locale. Mi regalò libri di fantascienza, fumetti e libri di storia scritti da lui. In inverno, il pomeriggio di Natale con neve e nebbia, andammo a comprare il pane al panificio di Bonavigo. Ci aprirono due vecchine e ci guidarono in un locale caldo, dove stavano indumenti ad asciugare. Comprammo del buon pane e dolci per Renzo. Renzo per molti anni allevò il maiale. Andavo a vederlo nel suo casotto in fondo all’orto, quando Renzo gli portava da mangiare. Poi in Dicembre andavo a casa sua per assistere alla fabbricazione dei salami. Renzo, aiutato dai parenti Dante, Mario, Bietto e Aroldo, dentro una stanzetta col camino acceso, macinavano la carne del maiale e la insaccavano dentro i budelli. I salami poi venivano appesi ad asciugare su bastoni sotto il soffitto. Ricordo che il pomeriggio del 1977, domenica 18 Dicembre, giorno del mio compleanno, lo trascorsi interamente là. Fuori era una giornata nebbiosa e gelida. Dal finestrino vedevo l’orto accasciato e gli alberi pieni di brina. Ma in quella stanzetta, attigua al laboratorio, noi stavamo bene. Negli anni ’80 a volte Renzo andava nella mostra di mobili gestita da suo zio Aroldo. Ci andavo anche io per scaldarmi vicino a una grossa stufa alimentata con legna di faggio. In quel periodo io scolpivo dei totem a 5 facce e lo zio di Renzo me li lucidava con gommalacca. Nei tardi pomeriggi di fine Ottobre, con le foglie gialle e la campagna in sfacelo, ritornando da Minerbe e passando da San Stefano andavamo a rifornirci di peperoni nel campo, vicino alla casa abbandonata. In altra occasione, sempre di Ottobre, Renzo voleva i biscotti e lo accompagnai in motorino in un biscottificio della zona industriale. Comprò un sacchetto, poi abbiamo proseguito per Legnago. Ma c’era troppo freddo e sulle panchine non c’era nessuno. Proseguimmo per Angiari, dove in un altro biscottificio Renzo comprò ancora biscotti. In seguito Renzo mi disse che i biscotti erano cremosi, adatti ai bambini, mentre lui cercava quelli secchi. Negli anni ’90, dietro mio suggerimento, il contadino Mario chiamò Renzo per aiutarlo a fare la vendemmia. Era suggestivo lavorare nel vigneto ingiallito e poi nella penombra della stalla fra nubi di moscerini, nei raggi obliqui del sole di Ottobre. Noi giravamo la manovella della pigiatrice e poi torchiavamo gli acini. Nel silenzio si udiva il mosto che ribolliva dentro alle botti. Purtroppo non avevo videocamera e ho fatto solo qualche foto. Nel 2004 siamo andati a trovare la mamma di Renzo all’ospedale di Legnago. Siamo partiti in motorino in un giorno grigio e freddo. Prima siamo andati da un parente di Renzo, un calzolaio e poi bidello abitante in via Fontana, per farci dire il reparto. Poi sempre in motorino, fino a Legnago, in ospedale, reparto geriatria, donne. Ma là non c’era perchè avevano esauriti i posti e la avevano sistemata nel reparto maschile. Successivamente sua mamma tornò a casa e d’estate andai a salutarla. Era a letto, in una stanzetta nuova al piano terra, ricavata dal laboratorio di Renzo, che così si era ristretto. Giuseppina mi disse che a volte delirava e parlava con suo marito e i fratelli, deceduti da anni. Poi Agnese morì. VILLE E CASTELLI Renzo era un grande appassionato (come me) di antichità, ville e castelli. Insieme abbiamo visto il castello abbandonato di Illasi. Ricordo che c’era una comitiva di turisti. Mentre io mi ero arrampicato sui camminamenti delle mura, Renzo parlava con una turista. Poi la donna chiamò: “John” guardando davanti a sè. Io gli risposi: “Sono qui.” La donna aveva chiesto il mio nome a Renzo e voleva verificare se ero proprio John. Dopo aver visitato i ruderi del castello siamo discesi dalla collina. Ma Renzo prese un altro sentiero e si perdette. Lo sentivo chiamare disperato e lo vedevo mentre correva in discesa fra i tronche degli alberi. Poi però ci siamo riuniti. Un’altra volta visitammo un altro rudere nelle vicinanze (non ricordo il nome della località). Chiedemmo informazioni a un vecchietto e lui ci insegnò la strada in cima a una collina. Anzi si offrì di accompagnarci. Salimmo tutti in macchina percorrendo un viottolo stretto, sassoso e ripido. Arrivati lassù visitammo i ruderi. C’erano delle costruzioni interessanti, una antica fontana, mi pare; peccato che non ricordo bene. Poi al momento di discendere mi spaventai: il viottolo era stretto, ripido, incassato fra muraglioni di pietra; il fondo era sassoso e io avevo i pneumatici vecchi e consumati. Il vecchietto notò la mia paura e si offrì di scendere a piedi, ma non potevo abbandonarlo lassù. Così scendemmo lentamente, in prima marcia. Temevo che le ruote scivolassero sui sassi e sarei andato a sbattere contro il muraglione della curva, là in basso. Invece, lentamente, miracolosamente arrivammo giù. Siamo andati un paio di volte anche al castello di Soave e siamo saliti fin sulla cima della torre. Un pomeriggio del 1975 siamo andati a Ferrara. Ci siamo accodati a una comitiva del posto e abbiamo visitato tutto il castello. Alcuni turisti si sono rifiutati di scendere nei sotterranei. Noi siamo scesi e siamo entrati nelle celle, stanzette basse con finestrino e inferriata nello spessore del muro (di oltre un metro) dove all’estremità si vedeva l’acqua del fossato. Da Ferrara ho spedito una cartolina a Pia firmando: “Tua amica Gianna”. A Cologna visita al Museo Archeologico. A Este siamo saliti a piedi sulla sommità della collina. Un’altra volta abbiamo visitato, a pagamento, il bosco e la villa di San Elena d’Este, (mi pare) accompagnati dal custode. Peccato che non ho fotografato niente! Un pomeriggio di sole mentre percorrevamo una strada nelle vicinanze di Lonigo (non ricordo il luogo e non saprei ritrovarlo) vedemmo una villa immensa, con gradinata e colonnato. Fermai la macchina e andammo a vedere. Provai a spingere la porta e questa si aprì: non era chiusa a chiave. Entrammo in un salone immenso con altre porte che immettevano in altri saloni. Attraversammo sale e salimmo scalinate, dapprima camminando piano, muovendoci cautamente. Poi man mano che ci inoltravamo ci prese l’ansia, la paura di venir scoperti, e incominciammo a correre attraverso i saloni con la fretta di vedere tutto e poi ritornare al più presto all’uscita. A un certo momento aprii l’ennesima porta e mi arrestai di colpo; non più saloni vuoti: davanti a me c’era una stanzetta con un tavolino, due sedie e due tazzine di caffè vuote. Qualcuno era appena uscito di lì dopo aver bevuto il caffè. Richiusi senza far rumore e ci lanciammo di corsa attraverso i saloni, fino a raggiungere l’uscita. A Orgiano abbiamo ammirato dall’esterno la bellissima villa; poi siamo saliti a piedi sulla cima della collina. Durante la settimana ho portato anche mio padre e abbiamo ripetuto lo stesso percorso. Ma faceva molto caldo e ci siamo tolti la camicia. Un uomo che rastrellava il fieno ci ha detto: “Prendete l’abbronzatura”. Un pomeriggio io Renzo e l’amico Nazzareno siamo andati a Recoaro. Visitammo il paese: c’erano camion pieni di bottiglie nei depositi. Entrammo nelle terme e i miei amici hanno pagato sempre loro, benzina e spese di ingresso. Tre biglietti per tre volte: una per entrare nel bosco; altro biglietto per entrare nell’edificio; altro biglietto per noleggiare il bicchiere. La signorina mi chiese che tipo di acqua preferivo. Presi quella amara, ma non mi piaceva. Poi siamo saliti in funivia fino a Recoaro Mille. Io avevo molta paura e sono salito per ultimo, dopo molte esitazioni. A metà strada il motore di traino si fermò e restammo immobili sul seggiolino per molto tempo. Gli altoparlanti dicevano di aspettare. I miei amici invece erano già arrivati sopra e quando finalmente il guasto fu aggiustato arrivai anche io lassù, ma loro avevano preso il seggiolino per la discesa. Ricordo che staccai un fiore, ma la guardia mi sgridò e mi consegnò un foglietto con le norme di comportamento. Nelle nostre gite ci spingevamo sempre più lontano: Lonigo, Orgiano, Sossano, Villaga dove ci siamo fermati per mangiare le ciliege. Poi avanti lungo una strada dove si vedevano ville bellissime sopra le colline. Decisi che sarei tornato per visitarle, invece non tornai mai più in quei posti. Arrivammo al lago di Fimon. Il lago era piccolo, con canne palustri e noi a piedi facemmo il giro. Poi improvvisamente il sole scomparve dietro la cima di un monte. L’aria diventò fredda, si levò il vento, le canne si piegavano nell’acqua... Via, di corsa alla macchina e partimmo abbandonando quel posto. Con sollievo ci allontanammo dalle montagne fino a rivedere il sole. A Castel d’Azzano esplorammo un palazzo immenso tutto abbandonato. A un piano superiore aprii una porta e mi arrestai sulla soglia: mancava il pavimento. Scesi giù, entrammo in un cortile per esplorare un altro edificio. Ma apparve un grosso cane; noi indietreggiammo piano, piano, con il cane feroce che ci seguiva. Proseguimmo per Nogarole, dove vidi dall’esterno la Rocca abbandonata. Ma era tardi e rimandammo la visita alla prossima domenica. Purtroppo non siamo più tornati là! Un pomeriggio siamo andati a Sommacampagna; poi a Sona per vedere dall’esterno la villa della Contessa. E infine a Custoza abbiamo visitato l’ossario. Dentro un edificio sormontato da un pinnacolo, c’erano centinaia di teschi esposti nelle bacheche. Un pomeriggio nuvoloso di Aprile io e Renzo entrammo nel castello di Bevilacqua, a quel tempo abbandonato. Il castello era servito da orfanotrofio e poi da cantina di vini prima di venir abbandonato. Lo esplorammo completamente. I soffitti delle 4 torri erano crollati e nei sotterranei c’erano bottiglie e alcune botti sfasciate. Ho fatto alcune foto. Siamo entrati nella Colombaia di San Vito, quando era un rudere abbandonato (ora sede di un ristorante). Siamo andati a Badia, Lendinara fino a Rovigo, dove abbiamo visitato una torre. In altra occasione a Este, fin sopra alla collina a piedi, da dove si godeva un panorama bellissimo. A Caselle di Pressana notai una grande villa abbandonata (ora restaurata). Chiedemmo informazioni a un vecchietto, il quale ci condusse da una vecchia che aveva le chiavi. La vecchia era molto diffidente e disse all’uomo: “Tu li conosci questi due ragazzi? Li faccio entrare sotto la tua responsabilità.” L’uomo restò sorpreso ma non disse niente. All’interno esplorammo tutto il grosso e antico edificio. In una stanza, in un angolo del pavimento, c’era un largo cono di mattoni. Sulla cima c’era uno sportello e io incuriosito provai ad aprirlo. La vecchia alle mie spalle disse. “Se fossi lei non toccherei quello.” Volli sapere perchè e la vecchia mi spiegò: “Perchè, vede, qui una volta vivevano le suore. E anche queste, naturalmente facevano i loro bisogni. Ebbene, questo era il loro gabinetto.” Nel 1976 eravamo diretti a Bolca per vedere il museo dei fossili. Ma a Tregnago avvenne un incidente. A un incrocio io avevo la precedenza ma un’auto venne addosso alla mia macchina. Andammo a chiamare i carabinieri che fecero le misurazioni e mi multarono di 10.000 lire per pneumatici consumati. Fu un pomeriggio rovinato. Con un ferro raddrizzai il parafango per liberare la ruota anteriore e poi ritornammo a casa. A Sermide scelsi una strada attirato dal profumo dei tigli. Arrivammo a Stellata e visitammo la Rocca (allora abbandonata). Poi via fino a Ficarolo col campanile storto e di ritorno da Giacciano e Baruchella. Siamo andati a Canda. A quel tempo la villa era abbandonata. siamo entrati nel giardino e forse anche dentro l’edificio, non ricordo bene. Poi abbiamo proseguito fino a Castelguglielmo, Presciane. A Carbonara Po abbiamo visitato una villa bellissima. Un simpatico vecchietto ci ha raccontato che all’interno di una colonna c’erano 25 kili di monete d’argento. In quell’occasione io avevo imposto a Renzo di non parlare per evitare che dicesse delle sciocchezze. Il vecchietto parlava rivolto a Renzo che rispondeva solo con cenni del capo. Finchè il vecchietto rivolgendosi a me chiese: “A vostro cugino gli manca la parola?” Lo aveva scambiato per un muto. Nel 1977 circa siamo andati a Mirandola per vedere (dall’esterno) il castello di Pico. A Felice sul Panaro siamo entrati in una costruzione antica dove era stato ricavato un enorme serbatoio per l’acqua. Doveva servire come acquedotto, ma l’ingegnere non firmò il permesso di utilizzo, così essa venne abbandonata. Salimmo dentro questa enorme conca di mattoni. Ancora più in su era installata una radio libera, ma non volevano lasciarci salire. Ma siamo saliti ugualmente dentro una stanzetta con apparecchiature e antenne. A Villimpenta una signora ci aprì la villa dove Pasolini aveva appena finito di girare il film Le 120 Giornate. La signora ci raccontò che la troupe era andata dal farmacista a chiedere come realizzare una finta merda commestibile. Pomeriggio nuvoloso, primi anni ’70. Io e Renzo abbiamo fatto un lungo giro in macchina nella pianura padovana. Ricordo che vedemmo una bella villa con parco (ora non saprei ritrovarla). Il proprietario ci ha fatto entrare nel bosco. Ci disse che lui era un poeta e riusciva a parlare con gli alberi. Io ero incuriosito e gli feci molte domande, ma adesso non ricordo più. Poi abbiamo proseguito, abbiamo attraversato una grande strada nuova, ma non ricordo la località. Abbiamo visitato anche la torre colombaia di Boschi s. Anna; quelle di San Vito di Legnago, di San Stefano di Minerbe e di Terrazzo. Anche i campanili ci attiravano molto: siamo saliti sul campanile di Bonaldo, Noventa, Veronella, Arcole (non fino alla cima perchè c’era un cancello). PERSONAGGI STRANI Passando da Porto ci fermavamo spesso dall’astrofilo Adalghisio, costruttore di specchi e telescopi a riflessione. Entravamo nella sua cantina-laboratorio e lui ci accoglieva con questa frase: “Ieri sera sono uscito fuori dalla galassia.” Intendeva col suo telescopio. Un pomeriggio ci mostrò centinaia di foto di negre nude, che aveva fatto in Africa alla missione dove era andato come volontario. Ultimamente l’ho anche filmato mentre costruisce un motore a reazione applicato alla bici. Avevo letto su un giornale locale che ad Albaredo viveva un cestaio che creava cesti artistici. Partii insieme a Renzo in un pomeriggio senza sole; arrivati in paese chiedemmo informazioni e a piedi percorremmo una stradina sassosa costeggiata dall’argine dell’Adige. La stradina finiva in un cortile con vasche piene d’acqua e fasci di rametti di salice immersi nell’acqua e tenuti giù da grosse pietre. Una vecchina ci aprì e andò a chiamare suo fratello Adelino. Entrammo in una vecchia cucina col pavimento di mattoni, focolare e mobili antiquati. C’era un profumo intenso di legno di salice essiccato. Aspettammo finchè una porta si aprì e io feci un balzo indietro. Arrivò un uomo senza gambe, su un carrettino alto pochi centimetri, con 4 cuscinetti a sfere che fungevano da rotelle. L’uomo si spingeva avanti puntellando le mani sul pavimento. Passato il primo momento di sbalordimento, facemmo amicizia e l’uomo incominciò a narrarmi la sua storia. Era nato così. Suo padre lo portava a scuola in carriola. Imparò a impagliare i fiaschi e questo fu il lavoro per tutta la sua vita. Poi costruì cesti che vendeva alle donne. “Io non posso camminare, ma ho un amico che cammina per me, da sempre.” Concluse Adelino indicando la finestra. Fuori scorreva l’Adige e il suo amico era il fiume. I cesti erano meravigliosi. La casa era come un museo e ce ne erano di tutte le forme e dimensioni: piccoli ed enormi; ad anfora, svasati, a otto, a colonna... Erano autentiche opere d’arte. Comprai un paio di cesti che poi rivendetti a un antiquario del mio paese. Purtroppo nemmeno qui ho fotografato. Ho inserito la descrizione dell’ambiente nel mio racconto SOLE DI MEZZANOTTE. Durante la settimana sono tornato ancora da Adelino. C’era un via vai di signore che andavano a comprare cesti. Ho visto mentre li costruiva e mi sono fatto insegnare il procedimento. A casa poi ho provato a costruirne qualcuno con scarsi risultati. Purtroppo non avevo macchina fotografica nè videocamera per filmarlo. Anni dopo ho cercato questo singolare artista; ho cercato anche la sua casa che non ricordavo più dove era. Da compaesani ho appreso che era morto. In cimitero ho fotografato la sua tomba: Adelino Zeminian 1919 1987. Sereno di Asigliano, altro personaggio eccezionale: scrittore, storico, collezionista, fotografo, regista, antiquario. La abbiamo conosciuto negli anni ’70 alla sagra di Belilacqua, mentre fotografava. Siamo andati ad Asigliano nel suo bazar-museo. Nel 2008 ho fatto foto e video con lui. Antonio da San Sebastiano, ex carrista e proprietario di un museo di carri armati. Abbiamo visitato il suo museo negli anni ’80 e filamto nel 2008 con Renzo dentro ai carri armati. Alla domenica Renzo andava in una mostra antiquaria gestita da un suo parente, di fronte al municipio. Anche io andavo là; la mostra era ricavata da una casa antica ed esponeva molti oggetti antichi. Più avanti abitava Pilade, un pittore gay. Nel 1982 io imparavo a dipingere e andavo a vedere i suoi quadri insieme a Renzo. Un pomeriggio andai in mostra e mio cugino era passato dal pittore prima di arrivare. L’amico Paolo gli disse in tono malizioso: “Sei stato da Pilade? Ti ha misurato la pressione?” Gli amici presenti ridevano tutti. Solo Renzo era serio: “No. No. Mi ha solo mostrato i suoi quadri.” Quel pittore era molto conosciuto e aveva una brutta fama, così non ci siamo più andati. Nel 1978 in Luglio, al mio paese vidi un uomo anziano che con la scopa raccoglieva i fiori dei tigli caduti e li metteva dentro i sacchi. Poichè mi interessavo di botanica ed erboristeria, volli conoscerlo. Si chiamava Sante, era nato a Sanguinetto, abitava a Solesino e faceva il raccoglitore di erbe officinali. Una domenica, io e Renzo andammo a casa sua, a Solesino. Sante era solo al mondo e viveva in un pensionato gestito da una signora che raccoglieva bambini abbandonati. Sante ci portò a visitare la fabbrica di Brisighella dove lavoravano le erbe officinali: un vecchio e oscuro capannone impregnato dal profumo e dagli aromi delle erbe. Siamo andati da lui anche altre volte. Sante mi insegnò il nome di tante erbe: la saponaria, il verbasco, l’iperico, la gramigna e altre che adesso non ricordo. Ci condusse a vedere l’orto botanico di un suo amico; questi aveva una moglie magrissima che mangiava fieno greco nella speranza di ingrassare. In Settembre Sante venne a casa mia in motorino e mi portò il calamo e altre erbe. Circa 10 anni dopo l’amico Fiammetto volle conoscere l’erborista e mi portò a Solesino. Io non ricordavo più la via nè la casa. Chiedemmo informazioni ai paesani, ma nessuno lo conosceva. Mi dispiace molto non sapere il cognome, nè di averlo fotografato. Un altro personaggio meritevole di essere ricordato è scomparso per sempre nel fiume del tempo. Un pomeriggio di pasqua andammo a Begosso a casa di Giuliano. Con nostra grande sorpresa trovammo l’amico che lavorava, insieme a due amiche, dentro alla stalla. Con la forca riempivano carriole di letame dei cavalli e ripulivano la stalla. Giuliano mi chiese: “Senti questo odore? Ti piace?” L’odore del piscio dei cavalli assomigliava a quello dell’amoniaca. Dissi sì, e Giuliano riprese: “Questo odore io lo adoro. Mi eccita, mi dà la carica|!” Uno degli ultimi personaggi incontrati è l’artista di strada Walter, o l’Uomo Statua. Lo abbiamo visto e fotografato alla fiera dei fiori a Cologna Veneta, vestito da viaggiatore, immobile, appoggiato a un lampione con grosse valige intorno. Successivamente l’ho filmato alla fiera di Lonigo, bianco e gessato come una statua. Filmato ancora nel maggio 2010 a Montagnana, in compagnia di Renzo. LE RAGAZZE DI ANGIARI Un caldo pomeriggio di Agosto, Renzo era in ferie e andavamo a spasso in bicicletta. Sull’argine dell’Adige abbiamo incontrato tre ragazze che prendevano il sole in bikini e siamo rimasti a parlare con loro tutto il pomeriggio. Quando ci siamo allontanati abbiamo scoperto un uomo anziano che le spiava nascosto fra gli alberi. L’uomo ci chiese di presentarlo alle ragazze per fare amicizia, ma noi siamo andati via. Negli anni ’80 abbiamo fatto amicizia con un gruppi di ragazze di Angiari. Due ragazze si chiamavano Monica; non ricordo i nomi delle altre. Nelle lunghe sere di Maggio io e Renzo partivamo in bici. Percorrevamo Via Capersa, poi Palesella e infine Angiari. Le ragazze di solito arrivavano in bici sulla piazza e ci incontravamo là. Vicino c’era un vecchio edificio con pergolato e una scala laterale (se ricordo bene). Entravamo in un corridoio stretto e in fondo c’era una vecchia che vendeva bibite, birre, acque minerali. Compravamo qualche bibita e poi andavamo a bere e chiacchierare sui gradini della chiesa. La chiesa aveva una facciata imponente e stava ad ovest, così dava una bella ombra e si stavamo al fresco. Una sera Renzo in via Capersa non vide una buca coperta d’erba, cadde dalla bici e si ruppe i pantaloni. Dallo squarcio dei pantaloni si vedeva tutto. Io ridendo gli suggerii di farseli cucire da qualche ragazza di fattoria. “No, no, ci vorrebbe una vecchia” diceva Renzo che non potendo presentarsi così alle ragazze, dovette tornare indietro. Renzo era anche un gentiluomo. Una sera ad Angiari volevo bere ma avevo dimenticato a casa il portamonete. Renzo mi prestò 1000 Lire. Al ritorno davanti a casa mia gli dissi di aspettarmi mentre andavo a prendere i soldi. Uscii subito dopo, ma Renzo era già andato via. A fine Agosto le giornate si accorciavano e tornavamo sempre col buio. In via Cabianca (allora priva di traffico) abbiamo incontrato un gruppo di ragazze che camminavano cantando sottovoce. È stata una sorpresa per noi e per loro. Volevamo accompagnarle, ma era tardi e pensavamo di incontrarle un’altra volta. Non le incontrammo mai più. Arrivò Settembre con i giorni sempre più corti. Con l’oscurità eravamo seduti sui gradini della chiesa per aspettare le ragazze. Davanti all’emporio della vecchia una lampadina fioca illuminava due uomini che litigavano. Uno era giovane e l’altro anziano e incominciarono a battersi. L’anziano cadde e non si rialzò. Arrivò il medico e disse che aveva le gambe rotte. Arrivò l’ambulanza e lo portarono via. Dopo quella volta non tornammo più ad Angiari. SAFARI FOTOGRAFICO Negli anni ’70 io e Renzo abbiamo esplorato sistematicamente la Bassa nelle province di Verona, Vicenza, Rovigo, Padova, Ferrara. All’inizio io non avevo macchina fotografica e i ricordi di questi viaggi li utilizzavo per descrivere gli ambienti nei miei racconti. Negli anni ’80 incominciai un safari fotografico aiutato da Renzo. Volevo fotografare gli ultimi edifici rurali rimasti (fattorie, stalle, fienili, colombaie, silos) prima che scomparissero. Moltissimi erano stati distrutti e io salvavo solo le briciole. Avevo una macchina fotografica a pellicola, fuoco fisso, di bassa qualità regalata ai clienti di un supermercato. In Marzo arrivammo a Terrazzo chiedemmo il permesso di fotografare la torre colombaia. Una signora ci guidò attraverso un cortile; ma c’era un cane enorme libero, però la donna ci assicurò che era innocuo. Arrivati vicino alla torre incominciai a fotografare cercando la posizione migliore. A un certo momento sentii il cane che ringhiava lì vicino. Mi voltai verso la signora: non c’era più, ci aveva lascati soli! Chiamammo disperatamente; la signora si affacciò a una finestra e da lassù tentò di rabbonire il cane. A Lusia ho chiesto con insistenza alla proprietaria di visitare la torre dove abitava. Siamo riusciti ad entrare, e lei spaventata ci ha aspettato fuori. Poi proseguimmo per Balduina, Boara Pisani, Vescovana. Improvvisamente sentii un colpo e dallo specchietto vidi qualcosa sulla strada. Fermai l’auto e vidi che si era rotta la cinghia di raffreddamento. Non si vedeva anima viva; c’era una fattoria lì vicino e chiedemmo di poter telefonare. Il fattore aveva anche lui una Fiat 500 e aveva comprato anche la cinghia di scorta!!! La vendette a noi per 2.500 Lire. Questo fatto è così incredibile che stento a scriverlo. Sostituimmo la cinghia e ripartimmo. A Vescovana saltando un fosso e scavalcando una rete entrammo da dietro nel parco della villa. Arrivammo fino alla tomba gotica dei Conti Moroni che fotografai (ma c’era penombra e la foto è malriuscita). Mentre eravamo sui gradini udimmo un rumore che ci impaurì: come se un mobile pesante venisse trascinato sul pavimento. Ma non c’era nessuno. Proseguimmo per Stanghella, entrammo nel meraviglioso parco (allora recintato) e fotografai la villa bellissima che sembrava un castello delle fate. A Tribano (con Luigi questa volta) ho scavalcato un portone e esplorato un grosso palazzo abbandonato. A Pojana ho fotografato la villa (allora abbandonata). A Noventa abbiamo visitato la villa Palladiana. Al ritorno poi abbiamo notato una torre bellissima; ci siamo avvicinati e un vecchietto del posto ci raccontò che era del 1.200 ed era la più antica d’Italia. A Carceri altre foto e visita alla Casa del pellegrino (allora abbandonata) senza tetto, con un enorme colonnato. Visitata la chiesa tetra e imponente e l’esterno del monastero (allora abbandonato). A Roverchiaraa siamo andati a fotografare una casa in un campo di mais. Le piantine erano piccole e noi saltavamo sul terreno per evitare di calpestarle. Ci seguiva il proprietario del campo, anche lui costretto a saltare le piantine per seguirci e controllare. Nel 1982 mi è venuta la passione per la scultura e siamo andati a Grancona a rifornirci di pietre. In due occasioni siamo fuggiti: a Roverchiara, mentre intendevo fotografare una fattoria zeppa di stranieri. A Veronella, davanti al portone di un cortile ho estratto la macchina fotografica e gli stranieri sono usciti correndo minacciosi verso di noi. Pomeriggio di Aprile con meli fioriti e grosse nubi nel cielo. Passando da Roveredo siamo arrivati a Cicogna. A piedi, seguendo un sentiero, entrammo in un cortile attorniato da piccole case rurali, tutte abbandonate. Siamo entrati in una dove il pavimento era completamente ricoperto di resti di cibo e materassi usati da stranieri. Là dentro c’era un odore orribile; siamo usciti impauriti, e all’esterno ho fatto alcune foto. Visitammo e fotografai il monastero di San Salvaro di Urbana. Nei primi anni ’80 era un rudere completamente abbandonato; ricordo l’ombra fredda e la grande umidità nel cortile interno. In Settembre 2008 ho girato un film sui Celti alle Cadabese di Asparetto. Renzo fa da comparsa con indosso un mantello grigio. Il lunedì di pasqua del 2009 ho filmato a San Salvaro le danze folkloristiche lituane. Renzo si vede fra il pubblico. Nel 2009 alla sagra di San Zenone, terza domenica di Maggio, ho filmato la bella rievocazione storica, con danze, della Dea Minerva. Renzo si vede fra il pubblico. Alla sagra di Veronella, terza domenica di Luglio, l’industriale Giovanni Rana (produttore di tortellini) nel 2009 sponsorizzò una bella mostra di quadri seguita da un rinfresco. Ho filmato tutto, e alla fine si vede Renzo che mangia e beve. Video alla festa dei fiori a Cologna, prima domenica di Maggio, con Renzo, Cinzia e Roberta. Alla festa della vendemmia, nel settembre 2009 ho filmato altre belle ragazze in compagnia di Renzo. AVVENTURE A LUCI ROSSE In Novembre 1981 l’amico Andrea mi chiamò a casa sua e mi presentò Maria Rosa. La ragazza stava a letto, nascosta sotto le coperte. “E’ nuda.” Mi disse Andrea. Rosa tirò giù lentamente la coperta e vidi che indossava un pesante maglione. Rimasi deluso. Poi la coperta scese più giù e vidi che il maglione arrivava fino all’ombelico; poi non c’erano altri indumenti: sederino e gambe erano nude e molto attraenti. Rosa aveva 20 anni ed era piccolina e formosa. Alla domenica, in un freddo pomeriggio di Novembre, siamo andati a Minerbe con la mia macchina, io Renzo e Rosa. A piedi abbiamo percorso il viale dei tigli e oltre la stazione abbandonata, oltre ai binari ci siamo seduti sotto un cespuglio. Faceva freddo e il sole appariva fioco. Abbiamo amoreggiato fino a sera. E’ passato un cacciatore e ci ha chiesto scherzosamente se prendevamo bestie col pelo. Poi Renzo ha pagato la benzina e ha regalato 5000 lire a Rosa. In Dicembre, lunedì al mercato Renzo incontrò Rosa. Le comprò qualcosa, poi la caricò sul motorino e la portò in una vecchia fattoria abbandonata (ora demolita) in via Calcara. Restarono insieme poco perchè (mi raccontò poi Renzo) fuori c’era la neve e la ragazza tremava per il freddo. A una sagra un amico ci informò che un tombarolo di Polesine possedeva una collezione di filmine sexy. Ci avvertì però di stare attenti perchè questo signore era omosessuale. Una gelida domenica d’inverno partimmo per San Pietro Polesine. La strada attraverso le Grandi Valli era lunga e quando attraversavamo i pioppeti incontravamo una nebbia densa. Chiedendo informazioni arrivammo a una fattoria isolata col cortile pieno di pietre fossili, statue, attrezzi antichi. Ci aprì una bellissima ragazza e ci fece attendere nell’ingresso mentre lei andò ad avvertire lo zio Giovanni. La ragazza tornò poco dopo dicendoci che potevamo salire in camera sua, uno alla volta. Salii la scala per primo, ma quando arrivai al piano superiore Renzo con un balzo mi raggiunse ed entrammo insieme in una stanza da letto senza riscaldamento. C’era un uomo seduto con un berretto da notte in testa. Gli spiegammo il motivo della visita; gli dicemmo che eravamo di Legnago e ci presentammo con nomi falsi. Scendemmo giù in cucina, dove c’era un po’ di caldo. C’erano due vecchietti (i genitori di Giovanni) e la ragazza che viveva lì perche aveva perduto i genitori (il padre era fratello di Giovanni). L’uomo ci disse di ritornare un’altra volta e così avvenne. Tornammo la domenica successiva, sempre fredda e nebbiosa. Giovanni ci guidò attraverso la casa, piena di reperti archeologici. Nella parte vecchia attraversammo stanze e stanzoni oscuri e semivuoti. Arrivammo in un granaio gelido e polveroso. Lassù Giovanni mise in moto un proiettore 8 mm. E proiettò un paio di filmine sexy di pochi minuti. Poi scendemmo giù in cucina al caldo, perchè lassù faceva troppo freddo. Giovanni ci disse di ripassare e ci avrebbe mostrato altre filmine. Ritornammo la domenica successiva. La ragazza lavorava la radica e mostrò il suo laboratorio a Renzo che era un esperto di falegnameria. Poi arrivò lo zio, ci guidò nel granaio e proiettò altre due filmine, una di genere gay. Un’altra domenica ritornammo ancora, soprattutto per vedere la ragazza che piaceva molto a Renzo. Il signor Giovanni ci disse che faceva la guardia notturna e aveva molti amici a Cerea e Casaleone; (i nostri paesi di provenienza). Comprendemmo che lui sapeva chi eravamo e dove abitavamo. Poi ci elencò i locali gay della zona e ci spruzzò all’improvviso con un profumo penetrante; disse che era bergamotto. Andammo via e decidemmo di non tornare mai più. Un amico meccanico mi aveva dato il telefono di una signora disponibile, a Verona. Dopo accordi telefonici partimmo io e Renzo in un pomeriggio caldissimo. In città posteggiammo alla Fiera e percorremmo a piedi alcuni kilometri per arrivare a casa di Angela. Una donna non più giovane ci accolse; disse che alla sera andava a vedere l’opera in Arena. Io entrai in camera da letto per primo. Poi entrò Renzo. Pagammo 20mila lire a testa. Un altro pomeriggio, sempre su segnalazione del meccanico andammo a Verona passando da San Martino. Da una cabina telefonai a Linda molte volte, senza riuscire a trovarla. Trascorremmo in attesa tutto il pomeriggio e alla sera tornammo a casa senza essere riusciti a incontrarla. L’INIZIO E LA FINE Negli ultimi tempi nei quali siamo stati insieme, io e Renzo parlavamo delle nostre avventure, delle donne che avevamo conosciuto, dei ricordi del nostro passato. Dopo quasi 40 anni abbiamo cercato la fattoria a San Zenone dove, nel lontano 1972, un vecchietto aveva riparato la bici a Renzo. Renzo aveva più memoria di me e mi guidò nei posti dove eravamo stati, in quella notte buia e nebbiosa. A Pressana abbiamo chiesto informazioni per rintracciare il campanaro che ci aveva insegnato la strada nel 1974. Si chiamava Giovanni Massignan e siamo andati in cimitero a fotografare la sua tomba. Sempre a Pressana abbiamo cercato l’amico Lino che non vedevamo più da molto tempo. Ci informarono che era morto nel 1999; siamo andati a fotografare la sua tomba e siamo andati a trovare la vedova. A San Zenone ci dissero che l’amico Flavio era morto nel 1996 e siamo andati a fotografare la sua tomba. Dopo oltre 30 anni Renzo ricordava ancora la nipote di Giovanni abitante a Polesine e desiderava rivederla. Mi pregava di portarlo là e un giorno di primavera raggiungemmo il paese. Cercammo per molto tempo la strada e la casa. Chiedemmo informazioni e ci dissero che i vecchietti erano morti; Giovanni era morto; la nipote (non ricordo il nome) era sposata e trasferita in città; la casa era stata comprata da un dentista che la aveva abbattuta e costruita una nuova. Trovammo il posto. La fattoria era scomparsa; tutte le belle pietre e i fossili non c’erano più. C’era solamente una villetta nuova in un giardino. Andammo in cimitero e fotografammo la tomba di Giovanni, morto nel 1996. In cimitero a Veronella siamo andati a vedere la tomba del padre di Pia, morto nel 1993. Gli ultimi anni li trascorremmo nei luoghi che amavamo, anche se le ragazze del posto non c’erano più: Minerbe, San Zenone, Pressana, Veronella. A San Zenone, un pomeriggio, Renzo mi raccontò episodi della sua vita che io non conoscevo. La giovinezza fino a 20 anni la trascorse nella fattoria di Via Pozza. Suo padre faceva il bovaro e la famiglia era in affitto. Renzo al mattino andava a scuola, al pomeriggio faceva l’apprendista in una falegnameria e alla sera andava a pescare nel fosso vicino. A quel tempo si era innamorato di una ragazza pugliese che abitava nel paese vicino. La portava al bar, ma la ragazza aveva otto sorelle e Renzo doveva pagare il gelato a tutte. In seguito allestì un laboratorio a casa sua e faceva l’intagliatore del legno. In quegli anni in paese c’erano molti mobilifici che richiedevano lavori di intaglio e Renzo guadagnava bene. Una volta avvenne un brutto incidente nel quale rischiò di morire. Un cacciatore arrivato a casa provò un fucile. Ma l’arma era carica e partì un colpo. Un pallino entrò nella testa di Renzo, proprio vicino all’occhio. Ricoverato d’urgenza all’ospedale di Verona, i chirurghi decisero che era troppo pericoloso estrarlo. Iniziò una cura di antibiotici durata un mese. L’infermiere veniva col carrello dei medicamenti su cui c’era una grossa siringa. Gli altri degenti si stupivano e commentavano: “E’ per quello là.” Indicando Renzo. L’infermiere gli diceva per consolarlo: “Questa ti fa bene.” Una o due volte al giorno, per un mese, finchè si abituò a questo supplizio. Dimesso dal’ospedale, la sua famiglia si trasferì a Casaleone, dove, un anno dopo suo padre morì a 51 anni. Renzo mandava avanti la famiglia: lavorava nella sua bottega di artigiano, allevava le galline, il maiale, coltivava l’orto; in Agosto andavo a prendere i pomodori (lui faceva la conserva) e in Novembre mi portava le zucche. In inverno faceva i salami. Ma il cuore di Renzo era rimasto nella fattoria in Via Pozza. Quando ne parlava il suo viso si illuminava e progettava di acquistarla in futuro. Era diroccata e disabitata. A volte siamo entrati dentro e Renzo mi indicava le stanze: qui c’era il camino, qui il laboratorio, le stanze da letto. C’era la stalla immensa, il fienile, il portico il silo... Renzo mi parlava anche dei suoi parenti. Uno zio che gestiva una scuola guida a Verona (la Serenissima) dove lui progettava di prendere la patente. Un parrucchiere, sempre a Verona. Una zia di 104 anni. Io a questo punto commentavo: “Con una parente così, tu avrai una vita lunghissima!” Uno zio molto grasso (al bar di Mezza Tappa aveva sfasciato una sedia) che andava in Sicilia in aereo per comprare arance all’ingrosso e poi faceva arrivare ai Magazzini Generali di Verona. Renzo veniva a casa mia tutti i sabato mattina. Alla domenica mattina invece ci trovavamo davanti alla chiesa. Una mattina di primavera del 2010 mentre eravamo seduti sulla panchina passò una signora che salutò Renzo. Era una delle otto sorelle che lui aveva conosciuto tanti anni prima. Restarono a chiacchierare un po’. In Maggio mio cugino morì. E in Luglio morì anche quella signora. Negli anni recenti, al ritorno passando da Bonavigo facevamo sosta al panificio- emporio; una signora ci apriva e Renzo comprava buste di caffè macinato. Una domenica passammo, suonammo il campanello come al solito ma ci aprì un uomo. Renzo gli disse che la signora gli dava il caffè. L’uomo andò nel retrobottega e tornò con un bicchiere di caffè caldo. DOPO IL 1990 In quell’anno mi sono ammalato. Dopo la lunga convalescenza, nel 1993 ho ripreso le gite con mio cugino. Ora, tutte le avventure erano vissute, tutte le donne scomparse, tutte le passioni finite. Tutti i paesi erano cambiati. La nostra amicizia era sempre forte e nel tempo libero eravamo sempre insieme. Anche le sagre di una volta non c’erano più. Andavamo nei paesi limitrofi a fotografare e dopo il 2005 a filmare. Ho filmato danze, feste, fiere con mio cugino, e ho caricato i video su youtube. Nel 2006 circa, un pittore di Verona mi parlò di una ragazza schizofrenica che vedeva il diavolo. La ragazza era ospite di un centro a San Giovanni. Così, dopo aver letto molti libri di psichiatria, contattai un infermiere di Oppeano che lavorava là. In un pomeriggio freddo e piovoso io e Renzo siamo andati da lui. Ci accolse in una cantina libreria dove prendemmo accordi per andare a vedere la ragazza. Poi arrivò l’inverno e non ci siamo mai andati. L’ultimo viaggio insieme è stato a Montagnana, terza domenica di Maggio 2010; c’era una festa e il mercatino dell’antiquariato. Ho filmato Renzo insieme all’Uomo Statua (Walter Bassanese). Ho fotografato Renzo vicino a una grossa moto Honda. Non avrei mai immaginato che questa fosse l’ultima foto della sua vita. La domenica successiva rividi Renzo che mi aspettava come al solito davanti alla chiesa. Ma dovevo andare dall’amico Bellintani e al ritorno Renzo era già andato via. L’ultima domenica di Maggio la trascorsi al mercatino dell’antiquariato. Al lunedì mattina sua sorella mi telefonò dicendomi che doveva darmi una brutta notizia. Renzo era morto di notte, nel sonno. La sera precedente (domenica) aveva innaffiato i pomodori nell’orto e poi era andato a dormire. Renzo era un uomo fortunato. Se escludiamo l’incidente gravissimo del 1969, la sua era stata una vita abbastanza buona. Inoltre ho notato che quando ero con lui beneficiavo anch’io della sua fortuna. Mi ricordo tante occasioni nelle quali siamo stati soccorsi dalla fortuna. Anche nella morte (troppo prematura!!!) mio cugino è stato fortunato perchè l’ha raggiunta senza soffrire. Nei giorni successivi alla sua scomparsa a casa mia sono arrivate tre o quattro telefonate mute. Era il suo spirito o qualche burlone vivo? Non so. L’anno precedente un meccanico mi aveva incaricato di fotografare una vecchia vespa rossa. Ma ci voleva qualcuno sopra. Inaspettatamente arrivò Renzo e ho fotografato lui sulla vespa. Questa foto appare adesso sulla sua tomba. Il fotografo ha colorato in blu la vespa, come lo scooter che usava Renzo. Luglio 2013 Sergio Bissoli Scrittore, bibliofilo, regista (680 video su youtube) RICORDI DI RENZO FERRARI 40 anni trascorsi insieme a mio cugino: avventure, paesi, sagre, ragazze, case abbandonate, esplorazioni in campagna.

Nessun commento: