mercoledì 14 agosto 2013

case nel tempo

A mio cugino Renzo Ferrari (1948 2010) che mi ha accompagnato in questa lunga ricerca. SERGIO BISSOLI CASE NEL TEMPO I PAESI DALLA A ALLA ZETA. DA ALBAREDO A ZIMELLA. Fattorie, colombaie, stalle, fornaci, fienili, paesaggi e personaggi della pianura veneta che rappresentano il Mondo Contadino Veneto (adesso estinto) negli anni 50 e 60. Copyright by Bissoli Sergio Le mie case sono come le mie donne: indimenticabili. PRESENTAZIONE I lettori stanno per entrare nel nostro tipico ambiente fatto di paludi, di nebbie, di tradizioni pagane, fantasmi e chimere. Un mondo durato secoli, e adesso completamente cambiato o scomparso. Nel 1955 i campi si aravano ancora con i buoi, come si era fatto per secoli. Nel 1960 con l’arrivo dei trattori, l’aratura con i buoi finì definitivamente. Dal medioevo fino al 1960 nei campi si vedevano le lumiere. Le vecchie sagge curavano con le erbe o praticavano le segnature con lo spago, l’anello o il pentolino. Qui descriveremo la Bassa Veronese che hanno conosciuto solamente i loro abitanti. Case contadine affascinanti, palazzi, stalle, fienili, colombaie, essiccatoi del tabacco, fornaci per cuocere l’argilla; abitate e usate fino al 1960. Questa data rappresenta infatti uno spartiacque fra il vecchio mondo contadino e quello nuovo. A partire dal 1960 incomincia l’era dei grandi cambiamenti: l’arrivo della meccanizzazione; la migrazione dei figli dei contadini nelle città; l’inizio dell’era industriale. L’ambiente contadino viene abbandonato o trasformato. Le tipiche case vengono abbandonate; molte crollano o vengono distrutte. Qui vediamo le foto di alcune rare case rimaste e che stanno per scomparire. Questa è la Bassa così come la ricordo io negli anni 50, 60 e che adesso è completamente scomparsa. Se il Lettore proverà qualche brivido di emozione, il mio lavoro avrà raggiunto il suo scopo. Il territorio preso in esame si estende per 50 Km a sud di Verona e si inoltra nelle province di Padova, Vicenza, Rovigo. Con questo libro i lettori entrano nel cuore autentico del Veneto, quello che difficilmente compare nelle pubblicità delle bellezze standardizzate. Tutte le case presenti qui sono state abbandonate; moltissime sono crollate o distrutte. Qui ci sono le rare case rimaste e che stanno per scomparire. Questo libro comprende anche alcuni paesaggi della Bassa prima dell’arrivo di superstrade e fabbriche. C’è la magia della primavera in campagna, con le distese dei soffioni e i meli innevati di fiori sotto i cieli bianchi di Aprile. I campi di orzo e di grano, assolati nei pomeriggi lenti dell’estate. I tramonti strazianti di Agosto, dopo il temporale. I campi di stoppie, desolati e ingialliti su cui soffia il freddo vento autunnale. Anche alcuni degli abitanti della Bassa sono ritratti qui: semplici contadini, ricchi dell’ esperienza di tutta una vita trascorsa in mezzo alla Natura. Tutto il materiale (foto e testo) NON è presentato da un punto di vista storico. Questa non è una storia della Bassa Veronese. Ho scelto un punto di vista originale e sempre trascurato. Il soggetto è visto dal lato estetico. Case, paesaggi, personaggi, comunicano al lettore un piacere estetico. Bissoli Sergio 2004 2007 VENETO FANTASMA Veneto fantasma, Veneto che esisti solo nella memoria dei sopravvissuti. Terra amata, ricca di sogni. Terra profonda, fatta di anime e di speranze. Veneto, ti vedo come un miraggio, come una terra degli Dei usurpata dall’uomo. Ricordi del Veneto, messaggi del Veneto ormai estinto. Segni come menhir della memoria. Case piantate in lande desolate dove danzano le stagioni. Luci e ombre di amori passati, di illusioni di donne. Galleria di sussurri e di carezze del vento. Qui il passato parla, qui il passato grida. Vite intrecciate, vite finite, vite sbocciate. Anime dure, parole dolci e sensazioni amare sul limitare del tempo. Un cuore batte. Una musica si spegne nel tintinnio del ferro. Qualcuno viene. Con passi d’ombra al chiarore della luna. Veneto di ricordi e di rimpianti. Case che ridono, case che piangono, case che sognano… Emozioni sulla soglia dell’eternità. Case della mente o case del cuore. Case dai lunghi sospiri, che raccontano le loro storie…. DA ALBAREDO A ZIMELLA I PAESI DALLA A ALLA ZETA IN 400 FOTO Il territorio a sud di Verona, conosciuto col nome di Bassa, è stato profondamente modificato negli ultimi 3 decenni. I grandi cambiamenti sono incominciati nei primi anni ’60 quando finì il predominio del Mondo Contadino. Io mi ricordo come era la nostra terra prima che arrivasse la meccanizzazione e così ho deciso di riprodurre quelle poche parti di territorio che sono sfuggite al cambiamento. Nella mia ricerca ho dato la preferenza alle case contadine, escludendo di proposito ville e monumenti di importanza storica. Lo scopo è quello di trasmettere il documento di un’epoca ma anche quello di sorprendere il lettore con immagini che tutti hanno trascurato e così sono diventate rare e importanti. Case contadine, stalle, colombaie, fienili, mulini, fornaci, essiccatoi.... Ogni costruzione ha una sua storia da raccontare e un insegnamento da darci. E anche un brivido di piacere da regalarci, unito a un lontano rimpianto. Ho fotografato inoltre le ultime località naturali rimaste inalterate e perciò suggestive e incantevoli. E per completare l’opera ho aggiunto le foto di alcuni ex-lavoratori di questi posti. Per centinaia di anni le famiglie contadine e artigiane del Basso Veronese sono vissute dentro case come queste. In queste case, intere generazioni si sono susseguite. Qui le persone hanno amato, odiato, hanno gioito e sofferto, sono nate e sono morte… Le case non sono solo ricoveri dopo il lavoro, ma luoghi di festa o di dolore, ricettacoli di emozioni, di sogni, di progetti, di illusioni, di speranze. Frequentando queste case, ben presto mi sono accorto che non sono oggetti morti e senza anima. Pensose o frivole, gioiose o tristi nell’alternarsi delle stagioni, le case ridono, piangono, sognano e, per chi sa ascoltare, raccontano la loro storia. Ho cominciato a fotografare negli anni ’60 usando la Comet di mio padre. Ho fotografato in bianco e nero fattorie meravigliose con fienile, stalle, pozzi, camini, colombaie… Negli anni ’70 perdetti quelle foto. Intanto le case di campagna venivano abbandonate dalle famiglie che si trasferivano in paese, venivano derubate di travi e pavimenti, venivano abbattute. Negli anni ’80 le case rimaste venivano occupate dai marocchini. Quando passavo in quei posti e vedevo mucchi di macerie, io provavo una sottile sofferenza. Così negli anni ’90 ho deciso di fotografare le ultime case rimaste. Quando il lettore guarderà queste immagini forse anche queste case saranno scomparse. Le case contadine del Basso Veronese sono uniche al mondo e stanno per scomparire poiché non esiste un Ente che le protegga o le salvaguardi. Case di contadini o di zappaterra dove si è svolta una vita semplice e dura, mai raccontata nei libri di storia. Grosse fattorie abbandonate con stanze vuote, cortili silenziosi e deserti. Muti testimoni di un’epoca finita. È una Bassa fantasma quella che scorre in queste immagini, una Bassa vicina e lontana, presente nella memoria dei sopravvissuti e nella mente dei poeti. È una panoramica di immagini affascinanti e suggestive del mondo contadino veneto. Alcuni edifici sono stati costruiti non per l’uomo ma per animali e cose. Queste costruzioni appaiono strane adesso che è cambiato anche il modo di lavorare. - Le stalle, edifici lunghi e bassi dove alloggiavano le mucche. - Il fienile, situato sopra alle stalle, era un locale destinato a conservare il fieno (erba tagliata e seccata) che era il cibo per le mucche. Caratteristiche dei fienili erano le finestre traforate per permettere il passaggio dell’aria, cosicché il fieno non marciva. - Le colombaie, torri dove nidificavano i colombi che periodicamente venivano catturati e mangiati. - E poi ancora i silos, torri cilindriche per conservare il fieno durante l’inverno. - Gli essiccatoi che servivano per essiccare il tabacco, appeso al soffitto in lunghe file. - I mulini lungo i fiumi, dove l’acqua faceva girare una ruota che forniva l’energia per macinare il grano. - Le fornaci, con gli alti camini, dove i mattoni venivano cotti fra cataste di legna accesa. - I granai, le cantine, i portici per i carri, i gabinetti nell’angolo della fossa del letame, le casette per i maiali… Per la classificazione ho seguito questo criterio: tutti i nomi dei paesi e delle frazioni sono elencati in ordine alfabetico. Le frazioni che possiedono una fisionomia propria, sono considerate al pari dei paesi e classificate in ordine alfabetico. Nei nomi dei paesi e frazioni che incominciano per San, la parola San è stata posposta. Perciò Sant’Andrea, San Vito, San Zenone… sono elencati rispettivamente alla lettera A, V e Z. Pur avendo fatto il possibile per catalogare le foto con la massima accuratezza, qualche costruzione può essere stata catalogata in un paese sbagliato poiché si trova sul confine tra due paesi. Mi scuso per le eventuali inesattezze. I luoghi che ho rappresentato sono tutti nella Bassa Veronese, cioè nel territorio a sud di Verona con qualche sconfinamento nel vicentino e nel padovano. Ho vissuto molti anni nella Bassa, osservandola e amandola perciò posso descriverla. Chi volesse conoscere alcune storie di questi posti, cioè l’anima del mondo contadino, legga: Sergio Bissoli RACCONTI GOTICI Ho avuto molti scarti e ho faticato per ottenere queste foto. I soggetti sono lontani dalle vie di comunicazione. Ho percorso strade sassose, sentieri di erba o di fango, col ghiaccio o con la calura; ho saltato fossi; sono stato punto da vespe, inseguito dai cani, ho sopportato la diffidenza di alcuni abitanti… Ho usato una macchina fotografica Maxell MF220 a fuoco fisso. I soggetti sono stati ripresi in varie condizioni meteorologiche. A volte lo stesso soggetto è stato fotografato in differenti stagioni con risultati sorprendenti. Questo non è un libro storico. Il materiale è presentato da un punto di vista estetico, pittoresco. I paesi sono rappresentati da punti di vista non convenzionali. Così appaiono diversi, mostrano aspetti inconsueti che danno il piacere della scoperta. Il testo è volutamente breve per non rischiare di finire sullo scaffale dopo poche pagine di lettura. Ho selezionato le foto dalla mia collezione di circa 3000 pezzi e adesso lascio il posto alle immagini, suggestive e incantevoli, che ci guidano lungo i sentieri misteriosi del tempo. PAESAGGI VENETI Alcune foto le ho dedicate alla campagna ancora incontaminata. La campagna ha un fascino sottile, quasi segreto, che all’inizio bisogna sforzarsi di scoprire. Il mare e la montagna hanno panorami possenti e anche l’osservatore distratto li percepisce. Per la campagna no. Ci vuole attenzione e allenamento. I drammatici tramonti di agosto dopo il temporale. La luna di cristallo delle notti di ottobre. E i campi di papaveri, di camomilla, i laghetti con le ninfee. Le affascinanti sere di maggio dove tremolano le stelle e le lucciole. I gialli pomeriggi di fine settembre con la prima nebbia che sale dai fossi… Negli ultimi anni, superstrade, zone industriali e discariche, hanno quasi cancellato questo ambiente. I terreni campestri naturali sono diventati rari così li ho cercati e fotografati. Qui la natura trasmette all’uomo insegnamenti ed emozioni e ci stupisce con la sua bellezza. Siamo arrivati ai paesaggi della terra veneta. In primavera predomina il bianco delle fioriture dei meli. E delle robinie e dei sambuchi con i loro fiori scossi dal vento L’estate è uno sfolgorio di colori: i molti toni di gialli del grano, dell’orzo della camomilla e dei girasoli. Il rosso dei papaveri; il verde di pioppi, gelsi e salici. In autunno il paesaggio cambia completamente e diventa sfumato per la nebbia, intriso d’acqua e di umidità. I colori smorti del sole, delle ceppaie marcite, delle foglie e delle stoppie, sono ravvivati dalla filigrana rossa delle bacche: dulcamara e cinorridi e dai cappelli bianchi dei funghi. I campi sono delimitati da fossi, fiumi, stagni con le rane, o paludi. L’acqua è presente con luci, colori e odori differenti a seconda dell’ambiente o della stagione. MONDO CONTADINO Ho fotografato anche i lavoratori, ormai pensionati o scomparsi, di questi luoghi. Contadini, artigiani, orologiai, meccanici, barbieri, calzolai.... Uomini con una dedizione al lavoro durata tutta una vita, che hanno lavorato senza riposo alla domenica e senza ferie in estate. Autentici maestri del lavoro che non sono mai stati premiati. 1995 - 1997 ALBAREDO La passione del collezionismo comprende gli oggetti più strani. Un mio amico colleziona cerambici (sono insetti coleotteri dotati di lunghe antenne). Li cattura, li asfissia e li inserisce dentro un album. Io colleziono case, vecchie case di campagna e metto dentro un album le loro fotografie. Ad Albaredo nei primi anni ’80 conobbi un cestaio, Adelino Zeminian, che era anche un grande artista. Aveva costruito cesti durante tutta la sua vita e la sorella andava a raccogliere i rametti di salice, che metteva in acqua sotto grosse pietre per renderli flessibili. La casa del cestaio era un museo fantastico e strano. C’erano cesti di tutte le forme e le dimensioni. Quest’uomo esprimeva la sua visione del mondo non in quadri né in poemi, ma in cesti di vimini. ANGIARI Questa sezione di Angiari incomincia con rare foto di case che adesso non esistono più. A volte la vita sembra tutto un sogno. Gli avvenimenti lontani del passato appaiono sbiaditi e irreali. Allora guardo queste foto e mi dico: sì, è tutto vero! Quegli attimi piacevoli, quelle case scomparse non sono invenzioni della mente, sono esistite realmente. Scoprii la casa di Via Arzarin in Angiari in una sera di maggio del 1970, mentre esploravo la campagna. La casa era disabitata e silenziosa e rimasi a guardarla stupito: i comignoli a ipsilon, il pozzo col tettuccio, la colombaia… All’interno la casa era immensa; ogni stanza aveva luci, colori e odori diversi. Vidi quella fattoria nelle notti d’estate con la luna che correva fra i comignoli e le rane che gracidavano nello stagno vicino. La contemplai negli assolati pomeriggi d’estate al gorgoglio di una fontanella. La ammirai nei pomeriggi di ottobre, stando seduto sull’albero a mangiare le noci… E nei giorni di novembre, quando appariva fantomatica e grigia in mezzo alla nebbia. Per fotografarla utilizzai un rullo da 16 pose e litigai col fotografo poiché nelle positive aveva tagliato alcuni particolari. Due o tre foto le spedii al mio amico Conte di Marmorito. Poi nel 1976 cambiai vita, inseguii il mito del denaro e buttai via tutto ciò che non si accordava con una mentalità utilitaristica. I libri, le foto con le negative, i ricordi finirono nei rifiuti. Alcuni anni più tardi, dopo alterne vicende, ritornai alla vita che mi era congeniale: ricomprai i libri, ma non potevo rifare le foto perché nel frattempo la casa era stata abbattuta. Scrissi anche all’amico Conte, ma pure lui non riusciva a trovare le foto. Parlai con la gente ma nessuno si ricordava quella casa. Nel 1997 accadde il miracolo. Riordinando un album di famiglia scoprii alcune negative che si erano salvate. Ed ecco qui quella casa che si era perduta negli abissi del tempo. BEGOSSO Sono andato a Begosso per 30 anni alla festa della mela, la prima domenica di settembre. Arrivavo in motorino dalla strada sinuosa che proviene da Terrazzo. Nelle piantagioni di meli c’era una casa abbandonato che rimpiango di non aver mai fotografato. A Begosso passeggiavo lungo la via dritta che porta al fiume. Il piccolo paese era immerso nel silenzio, nella quiete e nel profumo intenso delle mele. La via finisce davanti a una scalinata sull’argine dell’Adige. A destra c’è la chiesa, con il campanile staccato. A sinistra abitava l’amico Claudio Franceschi che mi regalava pere e mele. BONAVIGO Arrivai a Bonavigo la prima volta nel settembre del 1966, venendo da Roverchiara. Ammirai il panorama sul ponte dell’Adige e gli splendidi giardini di questo paese. Più tardi scoprii anche le sue frazioni: Orti, S. Tommaso, Saletto, Pilastro, Bernardine. Bonavigo è un paese quieto, immerso nel verde, un luogo ideale dove trascorrere la vita. BORGHESANA Borghesana. Terra sconfinata, fra Macaccari, Pranovi e Sustinenza. Attraversata dalla ferrovia abbandonata e dal fiume Tregnon. In una lunga esplorazione, io e l’amico Efrem Passarini, percorriamo strade non asfaltate, sentieri, argini e anche un pezzo del tracciato ferroviario. Arriviamo vicino a un camino altissimo, isolato, che alla base ha due aperture: una per il fumo e l’altra per l’ispezione, visto che all’interno c’è una scala in ferro che arriva fino alla cima. Entro dentro e guardo il cielo lassù, trenta metri più in alto. Il camino all’interno è impressionante e sembra un tunnel per l’oltremondo. Questo camino era usato dalle idrovore, spiegano gli storici, che servivano per prosciugare le valli prima della costruzione del Canal Bianco. Sparse nella Borghesana si vedono case semicrollate dalle architetture bizzarre: archi, pilastri di mattoni, porticati in rovina. Lungo certi tratti manca perfino la strada e dobbiamo camminare sulla terra arata. Le case presentano crepe, squarci, scale crollate, camini pendenti, che le fanno apparire ancora più misteriose e inquietanti. La campagna circostante, in ottobre, accresce il senso di desolazione. Le foglie dei pioppi sono gialle, come i fiori di topinambo lungo i fossi. Lo scrittore Sergio Bissoli ha realizzato un breve video intitolato MAGICA BORGHESANA. BOSCHI SANT’ANNA Altro paese caro e significativo. Nelle fredde domeniche di dicembre del 1972-73 quando c’era il divieto di usare l’automobile (per limitare l’inquinamento) partivo in bici con mio cugino Renzo Ferrari. A San Vito di Legnago facevamo sosta per chiacchierare con alcune belle ragazze. Poi ripartivamo e attraverso un sentiero raggiungevamo Boschi. Il paese d’inverno appariva nebbioso e grigio, con l’angelo in ferro che ci salutava sulla punta del campanile. C’era un’osteria; si scendeva un gradino e si entrava in una saletta dove suonava un juke box. Noi restavamo là fino al buio ad ascoltare musica e a scaldarci. Anche se con questi viaggi prendevamo i reumatismi non ci preoccupavamo. Il vecchio Pietro Ambrosini, l’erborista di Boschi Sant’Anna, ci avrebbe curato con i suoi unguenti. CEREA Di questo paese ricordo con nostalgia e piacere il Parco Nazionale Cabrini e la torre di Santa Caterina. Il parco era formato da un bosco di querce, faggi, olmi, situato fra Via Paride e Via Canonica. All’interno c’erano anche bellissime statue. La torre sorgeva dietro l’antico monastero di Santa Caterina del 1200. Era una torre quadrata di mattoni con muri a barbacane spessi quasi due metri. Il parco e il monastero furono abbattuti nel 1962 e 1964. Per questo libro ho selezionato alcune case situate alla periferia del paese. La Storia ci tramanda resoconti di imperatori, artisti e filosofi. Ma nessuno racconta la storia delle persone comuni, dei piccoli e poveri abitanti di paese. Eppure, anche qui, quante sorprese ci aspettano. Troviamo genialità, arte, poesia e tanto folklore. Ogni persona ha una sua storia da raccontare, il romanzo della sua vita che nessuno mai scriverà. Sono romanzi a volte più avventurosi di quelli di Salgari, più intricati di quelli di Balzac, più stupefacenti di quelli di Poe. Proviamo a raccontarne qualcuno, brevemente, traendolo fuori dall’oblio nel quale era precipitato. FABBIAN SEVERINO Cerea 1908 1981. D’inverno arrivava in bicicletta, avvolto nel tabarro. La bici era rinforzata, con portapacchi anteriore e spesso trainava un carrettino a due ruote. Era contadino, uomo di fatica che eseguiva lavoretti saltuari presso chi lo richiedeva. Viveva con i genitori, il papà Cirillo, la mamma Erminia e la sorella Carmela, in una casetta con portico al numero 37 di Via Calcara, ora via Vittorio Veneto. Spesso veniva a prendermi all’uscita della scuola ed era amico di famiglia. La sua passione era... il Lotto. Possedeva pile di quaderni neri dove registrava tutti i numeri usciti a questo gioco. Settimanalmente passava dalle famiglie per raccogliere i soldi delle giocate. Interpretava i sogni, traducendoli in numeri da giocare. Poi, in bici raggiungeva la ricevitoria di Sanguinetto dove effettuava le giocate e ripassava dalle famiglie per consegnare le bollette. Questo per oltre 40 anni, con qualsiasi tempo. Giocatore lui stesso, negli anni ’50 vinse una quaterna da 800.000 lire. POLETTO LUIGI Cerea 1916 2001. Conosciuto come Gigi. Meccanico geniale, figlio di un meccanico tornitore, possedeva un’officina in via Montanari, in una casetta che si era costruito da sè. Per molti anni lavorò per fabbricare un elicottero, che progettava di collaudare nelle campagne di Bovolone. Costruì e assemblò tutto da solo: telaio, motore, meccanismi, pale, seggiolino. La sua morte interruppe questa attività. PERONI SANDRINA Cerea 1912 2004. Poetessa, scrittrice e paroliera. Possedeva un negozio di dischi in via XXV Aprile. Negli anni ’60 scrisse le parole della canzone VERONESINA. Il maestro Renzo Bertù scrisse la musica, suonata dal complesso di Nando Moretti e cantata da Lidia Lidy. Il disco, inciso dalla Rialto di Verona, incontrò un buon successo. CALCINARO CANTON DESMONTA’ GIAVON Proseguendo la nostra carrellata su paesi e frazioni della Bassa, incontriamo gli edifici imponenti e grandiosi di Calcinaro; Canton; Desmontà. Villa Moneta di Belfiore. Gli edifici di importanza storica di Giavon. COLOGNA VENETA A questo nome io associo il campanile enorme, il Duomo con le colonne e i sotterranei, il museo archeologico, la festa del Mandorlato in Dicembre, la festa dei Fiori in Maggio, il pittore Scarato e ... Lino. Nei freddi e nebbiosi pomeriggi d’inverno andavo nella sua bottega a cercare sugli scaffali. C’erano pile di scatoloni con libri gialli, fumetti, Domeniche del Corriere; vecchi rasoi Remington o Sunbean da collezione; bambole, collane, braccialetti. Vasi di vetro pieni di vecchie lire in alluminio. Un bazar di cose vecchie, un paradiso di cose disusate per la gioia dei collezionisti: ferri da stiro a brace, macinini per caffé, radio a valvole e perfino quadri e vecchi ciclomotori. L’amico Lino Marcolongo è scomparso nel 2001. MINERBE Ma io seguo il mio istinto e arrivo subito al paese che amo di più. Sono andato in bici a Minerbe insieme all’amico Piero, la prima domenica di Agosto, sagra di San Lorenzo, del 1966. (L’altra sagra, di San Giuseppe, si festeggia la terza domenica di Marzo.) Ma torniamo in quel caldo pomeriggio di Agosto del 1966. Mentre vedevo Minerbe per la prima volta, provavo un senso di familiarità. Quel paese l’avevo già visto in sogno, molte volte, negli anni precedenti. Passeggiai lungo il bellissimo Viale Ungheria, con panchine bianca all’ombra dei grossi tigli. A metà viale c’era un piccolo bar, sotto un pergolato. E più avanti sorgeva un cespuglio di gelsomini, della vecchia varietà, con fiori più piccoli ma più profumati. Sulla piazza, vicino al paracarro del sagrato conobbi Anselmo il campanaro che mi raccontò la storia del paese e mi lasciò entrare nel campanile. C’è da vedere la frazione Anson, specialmente alla festa della terza domenica di Ottobre. C’è da vedere il comignolo della fornace, dove salì il sindaco nel dopoguerra per sbandierare l’arrivo degli alleati. C’erano i vecchi essiccatoi con i cavalli di Caneva. Quella domenica sono rimasto nella piazza di Minerbe fino a sera, ascoltando la musica dei Beatles dall’altoparlante della giostra, e al ritorno ho portato con me il ricordo indimenticabile di quel paese. Ancora adesso amo le case di Minerbe. Alle case sono legati tanti ricordi, belli o tristi. Alle case sono legati periodi della mia vita. In questo paese ho vissuto una bella storia d’amore che ho raccontato nel libro SORTILEGIO. Pubblicato in Minerbe 1966 Arduino Sacco editore Roma. Negli archivi akashici, insegnano gli spiritualisti, sono registrati tutti gli avvenimenti della storia del Cosmo, anche i fatti più piccoli e quotidiani. In vita, solamente i veggenti riescono ad accedere a quegli archivi. Per noi, uomini comuni, rimane la consolazione di guardare fotografie come queste. MIEGA Alla sagra del vin clinto di Miega (prima domenica di ottobre) si vive l’atmosfera dolce e malinconica della poesia “San Luca” di Giacomo Zanella. Le bancarelle con zucche e caldarroste; i vecchietti che bevono; il vento che solleva le stoppie nei campi… Le vecchie case di Miega nei giorni di ottobre sembrano impaurite dall’inverno in arrivo. Con il sole basso alla sera, i mattoni diventano color rosso cupo e le ombre sono lunghe e grigie. PALESELLA Ho tanti ricordi legati a questa frazione, prima che fosse tagliata dalla superstrada: la casa del pastore in Via Ca’ Persa crollata col terremoto del 1976; i sentieri di Boccamora; la strada delle scope dove lungo i fossi crescevano canne piumate usate per fabbricare scope; il vecchio convento... Sto raccontando la Palesella come era negli anni 50, 60 70. E’ inutile cercare adesso le cose che descrivo qui perchè non esistono più o sono molto cambiate. Negli anni 50 le strade che portavano a Palesella erano tutte bianche. Per prima venne asfaltata via Ca del lago, poi via Ca Bianca e ultima via Guanti. Negli anni 60 Mantovani Giovanni era proprietario di una parte del vecchio convento abbandonato. Era una costruzione imponente, di mattoni, a 4 piani e con una finestra gotica a ovest. L’interno era un labirinto di stanzette, scale ripide, stanze murate accessibili dalle botole, camini, sottotetti con travi enormi... L’edificio, cupo e semibuio, era un convento nel medioevo. (Le leggende raccontavano che alcune notti si vedevano i frati salire le scale, con una candela in mano). Dal 1800 è stato abitato da famiglie di contadini e definitivamente abbandonato circa nel 1950. Insieme all’amico Fiammetto ho trascorso pomeriggi interi ad esplorare quel convento enorme e misterioso. Camminare dentro quell’edificio carico di storia, era eccitante ed emozionante. (Molti racconti che ho scritto sono ambientati a Palesella). Nell’autunno 1968, vicino al camino, a lume di candela, leggevamo storie di fantasmi, mangiando pannocchie abbrustolite. Il convento è crollato nel 2000. Sempre negli anni 60 abbiamo visitato la fornace abbandonata con le gallerie di cottura percorse da rotaie e l’altissimo camino. Nel 1970 io e gli amici visitammo Villa Dionisi e il meraviglioso parco. La marchesa Ippolita, una signora alta con un vestito nero guarnito di pizzo bianco, ci guidò attraverso saloni antichi, allora completamente arredati. Nel 1972 la marchesa, ultima discendente, morì e parco e villa subirono rovinosi cambiamenti. Nel 1973 l’amico Renato mi mostrò le Vallette e i sentieri di Boccamora. In quegli anni la superstrada non esisteva, non c’erano fabbriche nè capannoni. Oltre un ponticello di mattoni sul Lavigno si entrava in un mondo magico che sembrava di favola. I meli erano tutti in fiore e c’erano distese di soffioni bianchi sul terreno. Seguendo un sentiero, dopo 4 case abbandonate, un capitello con glicini, oltre il ponte sulla Nichesola, si entrava nella località chiamata i Colonnelli. Un eden fatto di silenzi, di spazi luminosi; una grande estensione di terreno disseminata da laghetti. PRESSANA Arrivai a Pressana insieme a mio cugino Renzo Ferrari in una brutta sera dell’inverno 1974-75. Era freddo e buio. Dietro alla chiesa nuova esiste una chiesa antica, abbandonata il cui campanile ha l’orologio con numeri romani. Più sotto si vedevano dei simboli scolpiti nella pietra. Chiesi a un vecchietto che si trovava lì, il significato di quei simboli. Lui aprì una porticina e ci chiese di aiutarlo a tirare le funi per suonare le campane. Era il campanaro. Finito lo scampanio l’uomo ci diede le spiegazioni desiderate: gli stivali in pietra rappresentavano le paludi che circondavano la zona. I 14 omini scolpiti nella pietra rappresentano gli oblatori. L’omino più in alto era il capomastro. Detto questo, chiuse la porta e andò via, incamminandosi nella sera nebbiosa. Non lo rividi mai più. Molti anni dopo, in un giorno d’estate, ho desiderato incontrare l’uomo che nel 1974 faceva il campanaro a Pressana. Dai compaesani ho saputo il suo nome: Giovanni Massignan 1909- 1984 e ho trovato dove è sepolto, nel piccolo cimitero del paese. ROVERCHIARA La grande piazza di Roverchiara nelle notti d’estate mi ha sempre affascinato. La vidi per la prima volta nel 1956 quando arrivai una sera in moto con mio padre. C’era un cinema e papà riparò la macchina da proiezione. Rividi la piazza in una afosa notte d’estate nel 1972, arrivando in bici insieme a mio cugino. Affacciata alla finestra di una casa c’era una donna in vestaglia e dietro si vedeva una stanza da letto illuminata. Sono andato tante volte a Roverchiara, alla sagra con l’esposizione delle mele. Perciò, ho percorso tante volte la vecchia strada tutta curve che partiva da Morubio: negli assolati pomeriggi d’estate e nelle notti di settembre, al chiaro di luna. Il paese di Roverchiara è descritto nel mio libro Minerbe 1966 VALLI VERONESI Carpania, Boldiere, Boccarona, Ravagnana, Muri, Facciabella, Cavalle, Castello, Cantoni, Cofina, Borcel, Cavariol. Carpania, città fantasma, terra spopolata, dove danzano le stagioni. Strade vuote che portano a orizzonti fatti di nulla. Case abbandonate, semicrollate, deserte ma sature di ricordi. Qui ci sono solitudini incolmabili che afferrano la nostra anima. Qui ci sentiamo spaesati come davanti a un grande mistero, e senza aiuti nel sopportare tutto il peso dell’esistenza. Il visitatore che percorre per la prima volta le strade delle Grandi Valli Veronesi si stupisce per la loro linearità. Via Ravagnana, Via Muri sono strade sempre dritte, prive di curve. Assomigliano a linee rette che vanno da un orizzonte all’altro orizzonte. Dagli storici ho saputo che queste strade sono state tracciate di notte, con le lanterne poste sulle barche, quando tutto attorno c’era l’acqua delle paludi. Per questo motivo le strade sono così dritte: quando tre barche con le lanterne erano allineate, veniva tracciato il percorso. La prima volta che ho percorso Via Ravagnana, oltre 30 anni fa, in un assolato pomeriggio d’estate, ho provato una sensazione di sgomento, quasi di vertigine. Via Ravagnana sembrava non finisse mai. Molti anni dopo insieme all’amico Efrem Passarini, abbiamo esplorato sistematicamente le valli. Descrivo qui le nostre esplorazioni negli afosi pomeriggi di Luglio 2007. Incontriamo edifici strani, fornaci abbandonate, alti camini pendenti. Fattorie immense e deserte, dove nella penombra e nel silenzio ci sono tanti ricordi, sotto polvere e ragnatele. Cortili e porticati abbandonati e poi case, case, case, tutte deserte e abbandonate da decenni. A volte incontriamo costruzioni misteriose che assomigliano a fortini o centrali idriche con strani congegni arrugginiti; muraglioni, pozzi, torri vuote e abbandonate. E soprattutto un silenzio quasi pauroso e la completa mancanza di vita umana. Le strade dritte, lunghissime, bianche sono deserte sotto il sole, nella calura estiva o durante i crepuscoli lenti, quando l’acqua dei fossi brilla di luce e i mattoni delle case riflettono colori rossastri. In quei momenti il senso di solitudine diventa angoscioso. Anche la ferrovia che attraversa la valle è abbandonata da decenni. Caselli in sfacelo sorgono ai lati, sommersi dai rampicanti. E lungo il tracciato ferroviario ci sono cascate di rovi con more squisite in agosto. Ho notato cambiamenti dall’ultima volta che sono stato qui: l’immensa fattoria di via Ravagnana vicino al vecchio platano, non esiste più e adesso per sapere come era bisogna accontentarsi della foto 1. Lo scrittore Sergio Bissoli ha realizzato un DVD sulle grandi Valli Veronesi. VERONELLA Nel corso della vita ci possiamo innamorare di una donna, ma anche di un Paese. Le case che formano il paese sono mutevoli e capricciose a seconda dell’ora del giorno o della stagione. Per questo motivo ho preferito fotografarle più volte. Ho scritto anche un racconto e alcune poesie ispirate al paese. E un mio video: Il Castello di Veronella, è visibile su youtube. Sono andato la prima volta a Veronella nel novembre 1974, in una sera di nebbia. La vecchia strada acciottolata proveniente da Presina attraversava piantagioni di cavoli.. Seguivo i cartelli storti inchiodati sui tronchi dei salici e sbagliai strada più volte. Finalmente arrivai e in quella fredda sera autunnale il paese mi apparve come qualcosa di magico. Le lunghe mura merlate di mattoni corrosi; il castello con le lapidi; gli stemmi araldici medievali sulla chiesa e sugli edifici più antichi. Tutto mi ispirava e mi incantava. Il paese appariva quasi deserto. Dietro la finestra di un vecchio palazzo una ragazza sola guardava il crepuscolo. Un uomo fumava la pipa davanti a un portone. La fontana cilindrica nella piazza era ghiacciata, e agli incroci sorgevano suggestive cappellette di santi con lumi accesi nelle nicchie, dietro le griglie e le tendine. Sono ritornato tante volte in questo paese, piccola perla nascosta nella pianura. ZENONE SAN I pomeriggi di autunno dei primi anni ’70 li trascorrevo con mio cugino Renzo Ferrari a visitare San Zenone, i suoi palazzi ricchi come musei, i suoi cortili dorati dalla patina del tempo. Non ricordo la data precisa, ricordo però che in piazza c’era la pesa pubblica, abbattuta negli anni seguenti. Una sera di novembre mio cugino forò la ruota della bici. Nel frattempo scendeva l’oscurità e la nebbia. Ad alcuni ragazzi che tornavano a casa chiedemmo dove c’era un meccanico. Allora un bambino ci portò in una casa di campagna, da suo nonno. Il vecchio tirò fuori una cassetta di legno con gli attrezzi e riparò la ruota. Non chiese nulla per questo lavoro e Renzo gli diede una moneta d’argento da 500 lire. ZIMELLA Vidi la parte vecchia di questo paese nell’inverno 1974-75. Era una fredda domenica di sole e ammirai i mulini sulle acque ribollenti del Gua, la segheria abbandonata, il vecchio palazzo del Grest; poi la chiesa gotica con l’orologio solare, la grotta di Lourdes e naturalmente… le case. L’ultimo spettacolo, prima di andare via, è stato il sorgere della luna oltre il ponte in ferro. Il nostro viaggio sta per terminare, caro lettore. Ci sarebbero tante altre cose da raccontare. Spero che si presenti un’altra occasione per stare di nuovo insieme. 2004 2007 Vedi su youtube: bissolis 4 ° COPERTINA SERGIO BISSOLI scrittore bibliofilo regista CASE NEL TEMPO Oltre 400 foto artistiche di case contadine, stalle, fienili, colombaie, immerse nella magia della campagna. Una galleria di immagini suggestive e inquietanti di un mondo contadino ormai estinto. Case piene di immagini, di ricordi, di emozioni. Case troppo a lungo vissute e ora abbandonate a estreme solitudini. Case sature di memorie, di eventi passati, di generazioni finite. Case che attendono, che vivono, che sognano forse e, per chi sa ascoltare, case che raccontano le loro storie.

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